Continua la scoperta dell’America a cura delle serie tv. Dopo le tempestose insidie tropicali delle Keys che fanno da sfondo alla saga famigliare con thriller Bloodline, Netflix si sposta con un altro ibrido di generi nel Midwest, il misterioso in-between che ha consegnato la casa bianca a Donald Trump. Cielo limpido, aria cristallina, 220 chilometri quadrati di laghi, 1850 chilometri di linea costiera su cui si riversano ogni estate milioni di turisti, la regione montagnosa delle Ozarks (distribuita tra Arkansas Missouri e Oklahoma) è allo stesso tempo idilliaca e minacciosa nella nuova serie scritta da Bill Dubuqe e Mark Williams prodotta, insieme a Dubuque, da Chris Mundy e dall’attore Jason Bateman (intervistato qui sotto).

Qualcuno ricorderà la premessa di Breaking Bad in questa storia di un consulente finanziario improvvisamente costretto a imboccare la strada del crimine. Quando lo incontriamo, Marty Byrde (Bateman) è il classico, opaco, piccolo consultant di Chicago, con il miglior amico al testosterone e un matrimonio appisolato nell’abitudine al punto che sua moglie se la fa svogliatamente con uno sconosciuto in un video che qualcuno cortesemente manda a Marty, via link You Tube.

Tratteggiata a pennellate veloci (non solo il boom delle serie ha cambiato i temi e i modi la fruizione tv, ne ha accelerato la grammatica e reso più elaborate le cross pollinazioni tra generi), quest’istantanea arthurmilleriana si trasforma poco dopo l’inizio del primo episodio in un bagno di sangue, nel cui rosso vischioso perdono la vita tutti colleghi di Marty e quasi quasi anche lui. Scopriamo infatti che questi anonimi wallstreeter di provincia erano coinvolti nel riciclaggio del denaro di un grosso cartello della droga sudamericano, il cui capo, individuato un buco di 4/5 milioni, appare a Chicago per chiederne conto. È un depliant turistico, accartocciato in tasca, che all’ultimo momento salva Marty dalle pallottole –foto di laghi azzurri, promesse di aria salubre, una carica di turisti danarosi e ignari che vanno e vengono ogni anno……

È il posto ideale, ansima Marty – la sua vita appesa a un filo – al boss dello stupefacente, per reinvestire i suoi dollari sporchi. Otto milioni da riciclare in pochi mesi sono la condizione per la sopravvivenza di lui e della sua famiglia. E poi, ovvio, il trasferimento dalla grande città ventosa, al nowhere montano.

L’idea  della benestante, evoluta, famiglia metropolitana che si trasferisce in provincia (o viceversa, una famiglia di bifolchi che approda nel lusso della città –come la sitcom The Beverly Hillbillies ) è un classico della tv americana. Forte di una scrittura affilata, Ozark usa quel cliché della commedia, virandolo di una buona dose di dark. Palpabile nella texture della serie una riflessione sulle due Americhe messe a nudo dell’elezione 2016 (più un’opposizione tra aree metropolitane e non che tra cose e centro), Ozark ci mostra le crepe e la tristezza che sgretolano lo smalto dei city slickers ma anche un paradiso naturale ampiamente contaminato dalle ambizioni e dagli stratagemmi della città.

È assente –in questo ridente squarcio montano- la folksiness che caratterizzava per esempio un’altra serie a sfondo regionale, come Northern Exposure, o la grandeur soapoperistica del Texas di Dallas. Corrosa di amarezza, la fredda discesa nel crimine di Marty è legata in modo quasi inversamente proporzionale alla sopravvivenza del suo matrimonio –il che fa delle scene tra lui e Laura Linney, che interpreta sua moglie, alcune delle migliori, almeno nelle prime puntate della serie.