Le donne saudite ci provano, oggi tutte al volante
Riyadh Nuova sfida alle autorità. Governo e religiosi minacciano pesanti punizioni per chi violerà il divieto di guida e per chi sosterrà in internet la protesta
Riyadh Nuova sfida alle autorità. Governo e religiosi minacciano pesanti punizioni per chi violerà il divieto di guida e per chi sosterrà in internet la protesta
Le donne saudite non si arrendono di fronte alle pesanti punizioni minacciate dal governo e dai vertici religiosi. «Domani (oggi) ci metteremo al volante e attueremo la campagna che abbiamo annunciato. Non ci faremo intimorire, andremo avanti», ci assicurava ieri Reem, nome di copertura di un’attivista che abbiamo raggiunto via internet. «Tanti mariti e fratelli sono dalla nostra parte, dalla parte delle donne. Questa non è una più solo una lotta per guidare l’automobile, è la lotta che dovrà cambiare l’Arabia saudita», ha aggiunto. Oggi tutte le donne in possesso di patenti conseguite in Paesi stranieri sono chiamate a mettersi al volante. Sarà dura, come in passato. Più di venti anni fa alcune decine di donne, attuarono la stessa protesta. Furono fermate ed arrestate dalla Muttawa, la polizia religiosa. Molte di loro persero il lavoro, alcune furono costrette a lasciare il paese.
Da alcuni giorni è intenso il fuoco di sbarramento delle autorità e dei religiosi wahabiti, decisi ad impedire che le donne possano mettersi alla guida. Nelle ultime ore funzionari governativi hanno avvertito che pagheranno un duro prezzo le donne al volante e rischieranno l’arresto tutti coloro che attraverso la rete daranno sostegno alla protesta. Per essersi filmata mentre guidava, nel giugno 2011, e aver messo il video su Youtube, l’attivista Manal El Sharif scontò nove giorni di carcere. Attraverso un articolo pubblicato ieri dal quotidiano panarabo Al-Hayat, il portavoce del ministero dell’interno saudita ha ricordato che la cyber-legge in vigore nel paese sarà applicata con severità – cinque anni di prigione e multe salate – contro i trasgressori e che saranno adottate altre misure punitive contro «coloro che si riuniranno per sostenere» la protesta delle donne. Già mercoledì scorso erano stati lanciati pesanti avvertimenti «a quelli che si preparano a disturbare l’ordine pubblico» dopo che circa 150 religiosi e studiosi wahabiti avevano protestato davanti al palazzo reale sostenendo sdegnati che le autorità non stavano facendo nulla per fermare le donne. I servizi di sicurezza sauditi due giorni fa hanno paralizzato il sito dell’iniziativa oct26driving.org. Chi ha provato a collegarsi ha trovato questo messaggio “Abbandona la leadership delle donne saudite”. «Le autorità saudite dicono che il divieto di guida per le donne è sostenuto dalla maggioranza della popolazione. E con questa motivazione continuano a intimidire le attiviste», ha commentato Said Boumedouha responsabile per Amnesty International in Nordafrica e Vicino Oriente.
La petizione oct26driving presentata al governo ha raccolto decine di migliaia di firme ed è accompagnata da immagini di donne al volante. Se è vero, scrivono le promotrici nel documento, che la proibizione di guidare è una ”decisione sociale”, allora tanto più serve una chiara presa di posizione del governo, anche per evitare che sul tema vi siano ulteriori divisioni. E se l’eseciutivo, aggiungono, intende ancora mantenere il divieto, le firmatarie chiedono che offra «una valida giustificazione legale», oppure dia alla stessa società un meccanismo legale con cui esprimere la propria volontà.
In questi ultimi anni la monarchia Saud ha adottato alcune moderate riforme. Ha permesso alle donne di far parte del Consiglio consultivo nazionale e re Abdullah consentirà alle donne di votare e di candidarsi alle elezioni comunali nel 2015. Davvero poco rispetto alle promesse fatte in passato e il divieto di guida per le donne (costrette peraltro a muoversi con un “guardiano” maschio) è solo il simbolo di un sistema che, con il pretesto del rispetto delle tradizioni locali e dei principi religiosi, nega diritti ad ogni livello, soprattutto quelli politici. Il movimento per il diritto delle donne alla guida però è diventato un fiume carsico, che riaffiora ricorrente. Di recente è giunto anche l’intervento di tre donne componenti del consiglio consultivo della Shura, che hanno chiesto che il divieto di guida sia finalmente posto in discussione. I leader religiosi non sanno più cosa inventare pur di giustificare la proibizione. Qualche settimana fa l’imam Saleh Saad el-Leheidan, membro del Consiglio degli Ulema, aveva avvertito che guidare «provoca danni alle ovaie e al nascituro». Affermazioni confutate dal ginecologo Mohammed Baknah, che con coraggio ha osato sfidare pubblicamente le autorità wahabite.
I monarchi Saud con soldi e armi e le attività dietro le quinte del capo dell’intelligence, il principe Bandar bin Sultan, affermano di lavorare per “portare la libertà ai siriani” abbattendo il potere di Bashar Assad. In casa però negano libertà e diritti fondamentali, vietano qualsiasi attività politica e, secondo i centri internazionali per i diritti umani, tengono chiusi in prigione migliaia di cittadini accusati e condannati per “terrorismo” ma che in realtà sono soltanto dei dissidenti e oppositori politici.
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