«Donne, vita, libertà». Lo slogan è risuonato nelle marce partite dalle città curdo-siriane di Kobane e Tal Abyad, gridato da centinaia di uomini che hanno aderito alle iniziative delle donne curde di Rojava. Se nel resto del Medio Oriente organizzazioni femministe, associazioni e donne si mobilitano da decenni per l’8 marzo, nel nord della Siria l’internazionalismo che ha avvolto la rivoluzione curda ha negli ultimi anni condotto a eventi in vista della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

Qui il 25 novembre ha un significato particolare: la violenza da individuale e domestica si è fatta collettiva, prodotto dell’ideologia manichea e patriarcale dello Stato Islamico. Quest’anno le donne di Rojava hanno lanciato dibattiti e discussioni nelle comunità locali, cuore di quel confederalismo democratico che dal 2011 è pratica di vita concreta. Nelle principali città curde si sono tenute tavole rotonde e simposi, a Tal Amir, Hasakeh, Kobane, Tal Abyad. A Raqqa, appena liberata dall’occupazione islamista, pochi giorni fa la vittoria finale è stata dedicata dalle combattenti curde delle Ypj alle donne di tutto il mondo.

In cooperazione con il consiglio civile di Raqqa le donne hanno organizzato un simposio nel campo profughi di Ain al Issa, casa obbligata per migliaia di sfollati siriani dalle province di Raqqa e Deir Ezzor, in attesa di un rientro rallentato dalla distruzione e le macerie, dalla devastazione delle strade, le abitazioni, i negozi, i quartieri.

Di violenza di genere si parla ormai da settimane: dal 5 novembre Kongra Star (confederazione di movimenti femministi presenti in tutta la regione, nata dalla Yekitiya Star, fondata già nel 2005 sulla spinta della nuova teorizzazione politica del leader del Pkk Ocalan) ha organizzato eventi diversi in differenti località, una serie di iniziative che si concluderà oggi. Dibattiti in lingue diverse, in arabo, curdo, siriaco, distribuzione di libri e pubblicazioni fino alle manifestazioni che si svolgeranno oggi nei tre cantoni di Kobane, Jazira e Afrin.

«Tutte noi vogliamo sapere che il tempo dei nostri diritti è oggi – spiega all’agenzia Anha Nujin Yousef, membro del Consiglio democratico siriano, legato alle Forze democratiche siriane, federazione di curdi, arabi, assiri, turkmeni protagonista delle ultime vincenti offensive contro l’Isis – Come donne siriane, discutiamo le questioni che ci riguardano e la violenza che abbiamo subito. Dobbiamo farlo, dobbiamo discutere della violenza e dei metodi che gli uomini hanno applicato contro di noi».

Matrimoni imposti dalle famiglie, abusi sessuali, violenze fisiche. Ma anche la scarsa partecipazione alla vita sociale, economica e politica delle comunità. Tutti elementi che Rojava ha scardinato facendo della liberazione della donna lo strumento principe della liberazione dei popoli: nell’idea che colonialismo e capitalismo moderno si fondino sul modello patriarcale, è la lotta all’esclusione delle donne il mezzo per eliminare la schiavitù collettiva.

A Rojava il processo è transitato per una nuova legislazione, prodotto della base: divieto a matrimoni tra bambini e a quelli forzati, messa al mando della poligamia e promozione dei matrimoni civili. Ma la lotta, dicono le donne di Rojava, non è terminata. Prosegue, in un processo continuo di presa di coscienza che ha come primo target le donne stesse, la narrativa che esprimono e i limiti che si pongono.