Questo non è un mondo per donne né a Kabul né in nessuna altra parte. Il più grande nemico delle donne è la mistificazione, la confusione tra vero e falso, il dire una cosa per nascondere un’altra. Con la mistificazione si diffonde e si legittima la falsificazione della vita. Una delle più grandi mistificazioni dell’Occidente è la parità sufficientemente raggiunta e “migliorabile” delle donne con gli uomini.

Questa parità non è falsa da diversi punti di vista: le donne occidentali hanno un accesso libero all’istruzione a tutti i suoi livelli; ottengono livelli dirigenziali e governativi mai immaginati prima (al vertice della BCE e della Commissione Europea ci sono due donne); svolgono con grande successo professioni da sempre considerate di pertinenza maschile; il loro livello di cultura è mediamente superiore a quello degli uomini; il contratto matrimoniale è per esse molto meno sfavorevole che nel passato; godono di una libertà sessuale ampia e consolidata. Tuttavia la relazione relativamente paritaria tra donne e uomini occidentali, pur essendo vera sotto vari punti di vista, non solo formali, nasconde cose importanti e decisive. Di qui il suo carattere mistificante.

La prima cosa nascosta è che la prosperità occidentale, che “finanzia” e rende accettabile l’emancipazione femminile all’interno dei suoi confini, si fonda su un regime di scambi con il resto del mondo scandalosamente ineguale, retto sullo sfruttamento, il cui risultato è la repressione delle donne in ogni aspetto della loro vita. Tra le donne occidentali e le donne dei paesi sfruttati la differenza di condizione è abissale ed è destinata a crescere impietosamente.

La seconda cosa che resta invisibile, nonostante il clamore mediatico sui “fatti di sangue” o sugli abusi sessuali più eclatanti, è la diffusione a tappeto di una violenza fisica e psichica nei confronti della donna che limita gravemente la sua reale libertà erotica rispetto a quella formale. Di fronte a questa violenza ci si scandalizza, tutte le volte che essa supera gli argini dell’ipocrisia sociale, ma nessuno la mette veramente in discussione. Si dice che le donne non sono protette, la verità è che non hanno gli strumenti per proteggersi da sé. Li devono conquistare. Non sono una categoria “protetta”.

La terza cosa, la più nascosta e la più insidiosa, è la frigidità imposta. Essa è di origine maschile e il fatto che la si evidenzia nelle donne ed è interpretata come disfunzione femminile la dice tutta sul capovolgimento della verità nel nostro mondo. Sempre di più le donne per aver accesso alla sessualità devono passare attraverso le ‘forche caudine’ del modello maschile di eccitazione e scarica, assoggettare il loro corpo a principi maschili di funzionamento difensivo.

Tutti gli esseri umani quando diventano insensibili al coinvolgimento erotico profondo (perché il contesto in cui vivono e/o la loro esperienza traumatica pregressa non lo consentono) ricorrono a pratiche di tensione e sollievo (l’“urinare” che imita l’orgasmo) che li proteggono dall’intensità e dalla profondità di cui hanno paura.

Questo modello “idraulico” della sessualità corrisponde a un maschile dissociato dalla femminilità e ridotto a caricatura scheletrica di se stesso. Al femminile non corrisponde nessun ritrazione dell’essere di questa portata. Esso non è compatibile con il rinsecchirsi dell’esigenza. Le donne quando sono costrette a un ritiro difensivo dall’eros, devono appiattirsi su un maschile autoerotico, di fatto de-sessuato (la loro più grande sconfitta).

La difesa delle donne di Kabul non può essere sostenuta in assenza di un movimento di liberazione di tutte le donne, un processo molto diverso da quello pieno di trappole della loro emancipazione. L’emancipazione paga un prezzo altissimo al pensiero cieco, un pensiero di matrice puramente maschile che si riduce a uno dei suoi strumenti, il calcolo, il più anaffettivo.