È rivolto a studentesse e studenti di giurisprudenza dell’Università di Torino, ma è fruibile da chiunque. Facendo di necessità virtù, il Seminario Diritto Lgbtq+ abbatte i muri dell’accademia attraverso la piattaforma Webex dell’ateneo subalpino, così come si propone di abbattere i conservatorismi culturali. Da lunedì, undici lezioni per affrontare organicamente la condizione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e queer sotto la lente del diritto: dalle unioni civili alla gestazione per altri, dal diritto di asilo al contrasto all’omofobia, le questioni aperte ci sono tutte (informazioni www.giurisprudenza.unito.it).
Artefice del seminario, insieme al penalista Marco Pelissero, è Antonio Vercellone, assegnista di ricerca in diritto civile, con pubblicazioni nel campo dei beni comuni e del diritto di famiglia.

Antonio Vercellone

Il vostro seminario è una novità nel panorama degli studi giuridici. Come nasce?
Penso che le tematiche lgbtq debbano essere affrontate dai singoli corsi di laurea più che diventare l’oggetto di un corso a sé, multidisciplinare, che rischia di essere poco rigoroso dal punto di vista metodologico. Posto che il dialogo fra le discipline è importante e arricchente, durante la formazione universitaria ci si deve confrontare con la questione lgbtq come parte fondamentale del proprio campo del sapere. Letterario, storico o giuridico che sia.

E il vostro è proprio quello giuridico. Qual è l’obiettivo principale che vi proponete?
Dal punto di vista più immediato è quello formativo: colmare un vuoto. Le questioni lgbtq sono affrontate, nel dibattito pubblico, quasi sempre attraverso il filtro del diritto, sia che si parli della normazione di situazioni concrete, come il riconoscimento dei figli di coppie dello stesso sesso, sia che si parli di «massimi sistemi» come il significato di cos’è «naturale». Il diritto civile nel primo caso, la filosofia del diritto nel secondo.
Per il contrasto ai discorsi d’odio entra in campo il diritto penale, per il riconoscimento dello status di rifugiato a persone omosessuali il diritto internazionale. Ecco, attualmente negli studi giuridici manca un percorso che dia una visione unitaria del fenomeno.

Perché è importante avere una visione unitaria?
Solo così si può cogliere l’effettivo contenuto della questione, che è in sé politica prima che formalisticamente giuridica, superando i micro-specialismi dei singoli settori del diritto. Superandoli intendiamo anche raggiungere un altro scopo, più di fondo: affermare uno status autonomo del diritto lgbtq.

Cosa intende più precisamente?
Mi spiego con un’analogia. Prendiamo il tema dell’immigrazione. Oggi nei dipartimenti di giurisprudenza avanza l’idea che occorra acquisire un punto di vista generale su tale fenomeno politico-sociale, ovviamente conservando il rigore metodologico dei nostri studi. E quindi, per acquisire un punto di vista generale, bisogna rompere la dogmatica classica. Il diritto dell’immigrazione si sta affermando come una disciplina a tutti gli effetti, superando le barriere divisorie – figlie della modernità – fra diritto civile, penale, amministrativo, internazionale. Ecco: lo stesso occorre fare con il diritto che si occupa delle persone lgbtq. Altrimenti avremo sempre una invisibilizzazione delle vite delle persone lgbtq, la cui trattazione giuridica sarà sempre un aspetto marginale e accessorio di ogni singola materia giuridica.

L’emancipazione passa anche dal riconoscimento dell’autonomia di una disciplina giuridica quale il diritto lgbtq, quindi?
Le questioni giuridiche che riguardano le persone lgbtq – dall’omogenitorialità alla tutela contro i crimini di odio al diritto anagrafico in seguito al cambio di sesso – sono tutte molto tecniche, specifiche e «difficili»: nel corso della normale formazione universitaria si affrontano solo tangenzialmente, salvo eccezioni. Si acquisisce una cultura sul campo che però non viene ancora resa oggetto di studio nei corsi di giurisprudenza. Che, aggiungo, hanno talvolta il difetto di essere eccessivamente formalistici, mentre il nostro seminario punta a fare capire l’intreccio fra diritto e politica. Il diritto è una tecnica della politica, è una tecnica che presuppone cioè domande «politiche», non è mai qualcosa di neutro.

Come invece è generalmente presentato nel modo più tradizionale di intendere la formazione giuridica.
Esatto. Studentesse e studenti devono invece fare i conti con il fatto che il diritto può essere uno strumento di disciplinamento e oppressione, ma anche di contro-egemonia, di liberazione. Bisogna fare sentire la tensione fra lex e ius, per usare le categorie classiche: la lex è la legge formale che va obbedita perché emanata da chi ha il potere, mentre lo ius si legittima sulla base di un’idea di giustizia. Il diritto non è qualcosa di univoco: c’è sempre una proiezione di lex e una di ius. Chi studia giurisprudenza perché vuole combattere le ingiustizie deve poter imparare a lottare contro la legge oppressiva e normalizzante attraverso tecniche giuridiche che facciano avanzare l’emancipazione. Bisogna mostrare come l’interpretazione delle norme può essere giuridicamente rigorosa ma anche ancorata a valori di liberazione umana.

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SCHEDA. «Dal pregiudizio all’orgoglio»

Traendo libera ispirazione da Jane Austen, si intitola «Dal pregiudizio all’orgoglio» il seminario organizzato da Magistratura democratica sui rapporti fra genere e diritto che si terrà domani alle 16. Su piattaforma Teams, giudici e studiose analizzeranno le molte dimensioni che ruotano attorno ai significati di uguaglianza e differenza nel rivendicare e riconoscere diritti, fra astrazione del soggetto giuridico e materialità dei corpi sessuati. Introduce Giulia Locati dell’esecutivo nazionale di Md. La partecipazione è libera, informazioni su www.magistraturademocratica.it. (j.r.)