«È un falso amico l’ombra che ti segue finché dura il sole», diceva un poeta e diplomatico di fine 800, rassegnato a fare le valigie e cambiare continente ad ogni caduta di governo. Così, con amarezza, gli uomini vicini a Enrico Letta hanno preso la mozione dell’ex fedelissimo Francesco Boccia, presidente della commissione bilancio della Camera, due volte sconfitto alle primarie per la Puglia, fin qui effervescente lettiano. Che col pretesto di sostenere l’azione del ’suo’ governo ha attaccato con furia rottamatoria il gruppo dirigente del Pd trascinando il premier nella polemica. Una mossa che ha sorpreso Letta, tanto da fargli pubblicamente smentire di esserne l’ispiratore.

In realtà il documento era – ché ormai è già archiviato – una consegna di credenziali nella direzione del sindaco di Firenze, futuro candidato premier o segretario, a seconda di quando si alzerà il vento del voto. Nel Pd il sindaco è ormai percepito un po’ ovunque come l’irresistibile ragazzo della provvidenza; che salverà il paese, forse, ma di sicuro il partito dal baratro della dissoluzione in bande. Le feste democratiche e dell’Unità fanno a gara per averlo. E così ieri, dopo un’iniziale freddezza, il rottamatore Matteo Richetti si è incaricato di accogliere la[ new entry nell’area: «Conosco Boccia, non è contro Renzi ma al suo fianco nella battaglia per rinnovare il partito. Dice che l’azione di Renzi non può essere vista come di contrasto a Letta».

È così? In attesa che il sindaco conceda un qualche tipo di indicazione meno veloce di uno spot sulla sua collocazione politica, nel Pd succede che ogni giorno c’è un renziano in più. Anche troppi per un fan della prima ora come il giovane Antonio Funiciello, già veltroniano di cultura liberalsocialista, direttore dell’emagazine Qdr (acronimo di ’Qualcosa di riformista’ ribattezzato con autoironia ’Qualcosa di renziano’); ieri ha scritto su Europa di essere «un correntista felice», nel senso di appartenere a una delle vituperate – anche da Renzi – e rottamande correnti. «Che cos’è una corrente?», scrive, «È una diversa declinazione culturale dell’orizzonte comune proprio di chi sta in un partito. Se non c’è cultura politica, c’è soltanto filiera personale. Quelle filiere che infestano come colonie di scarafaggi il nostro partito». Viva le correnti, dunque, «sono indispensabili», «le filiere, viceversa, costruiscono un sistema di convinzioni fondato su convenienze: come è oggi, per lo più, nel Pd. Il prossimo congresso s’incarichi d’incentivare la formazione di vere correnti e metta al bando le pestilenziali filiere. Confondere correnti e filiere è un errore da non ripetere. Un po’ come confondere elicotteri e cacciabombardieri», è la chiusa velenosa, riferita proprio a un’imperdonabile gaffe di Boccia sugli F35.

Fra convinzione e convenienza, con Renzi ormai sono passati in tanti. L’ex turco Matteo Ricci, presidente della provincia di Pesaro («Meglio fare la sinistra della destra»), l’ex bersaniano segretario emiliano Stefano Bonaccinini («Matteo ha capacità espansive enormi»), il sindaco di Bologna Virginio Merola, quello di Forlì Roberto Balzani, quello di Bari Michele Emiliano («Renzi è l’unico lucido in contatto con il paese»), l’ex franceschiniana ed ex civatiana Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia («È il nome giusto, lo aiuterò»), il presidente della Liguria Claudio Burlando, il sindaco di Torino Piero Fassino («È una risorsa importante»). Buona parte dei sindaci toscani. Per non dire di Ignazio Marino, sindaco di Roma, che «endorsò» Renzi in piena campagna per il Campidoglio, facendo inorridire mezzo Pd che aveva nei confronti del toscano una specie di diffidenza antropologica.

Roma però merita un capitolo a parte. Qui il golden boy del Pd è sempre andato maluccio. Alle primarie del 2012, il suo 35 per cento nazionale franava al 25,9. Alle primarie del 2013 per il Campidoglio, il ’suo’ candidato Paolo Gentiloni, apprezzato amministratore di lungo corso, si è fermato al 14. Ma dal luglio scorso Renzi è stato «adottato» da Goffredo Bettini, fondatore del Pd e intellettuale, tessitore di relazioni trasversali, inventore del Modello Roma di Rutelli e Veltroni, grande elettore di Marino, da anni fautore della rifondazione del «campo» della sinistra: ovvero un big bang ante litteram, certo più colto e avvertito rispetto alle spacconate del rottamatore. L’operazione di Bettini coinvolge e avvolge anche la sinistra-sinistra, a partire da Sel: la Sel di Vendola che a sua volta ha iniziato le manovre di avvicinamento con Renzi, dopo lo scontro ruvido delle primarie del 2012. Ieri al Corriere della sera Gennaro Migliore ha auspicato, in caso di fine delle larghe intese, «un governo di scopo che faccia la legge elettorale, rifinanzi la cassa integrazione e risolva il problema degli esodati». Magari con Renzi a Palazzo Chigi: nella presunzione che cassa integrazione ed esodati siano davvero «uno scopo» prioritario di un eventuale governo Renzi, e non invece, per dirla con il radicale Mario Staderini, «le battaglie liberali, la modernizzazione dell’economia e l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: i nostri temi di sempre sulla carta coincidono».
Ma se Berlusconi dovesse togliere l’appoggio al governo, Letta potrebbe decidere di incarnare il candidato che la troika dem Bersani-Franceschini-Epifani cerca da mesi per arginare la valanga renziana. La sfida per la premiership dunque si consumerebbe fra due ex dc. Quella per la segreteria sarebbe rimandata e lasciata, come gli spiccioli, in dote agli ex ds. (infatti Gianni Pittella, uno dei candidati del Pd, continua a dire che il sindaco è il suo candidato premier preferito).

Ieri Letta, nel giorno del suo compleanno e alla vigilia della partenza per l’Austria, ha pranzato con Epifani: «piena sintonia» fra i due, riferiscono da Palazzo Chigi. Poi nel pomeriggio alla tv austriaca il premier non ha mostrato alcuna paura di un’eventuale caduta del governo: «Il partito di Berlusconi si assumerà la responsabilità delle sue decisioni».

Renzi, per ora, tace e resta in vacanza negli Stati uniti, dopo però aver giurato all’aeroporto che al ritorno rivolterà il Pd «come un calzino». Più tarda a tornare, più aumentano le sue divisioni. In tutti i sensi: anche le divisioni fra i suoi della prima ora e gli ultimi arrivati, le ombre che lasciano gli amici quando arriva la notte. Quelli, per dirla con il giovane avvversario interno Fausto Raciti, ’turco’ e sostenitore di Gianni Cuperlo al congresso – quando sarà – «che si muovono per calcolo più che speranza di vittoria. Un film visto tante volte. Ma non è detto che le maggioranze bulgare che si prevedono poi si coagulino davvero. E poi a fare i leader forti e solitari nel Pd si corrono sempre rischi. Consiglio prudenza e un ticket all’ingresso. Perché ha ragione chi dubita dei nuovi arrivati: nessuno si preoccupa di spiegare sulla base di quale ragionamento cambia cavallo e posizione politica».