Registrare senza filtri e in presa diretta una lunga serie di fallimenti particolari e tentativi di risollevarsi per misurare, senza alcuna supponenza o pregiudizio, la tenuta di concetti universali come la maternità o l’etica del lavoro nella società contemporanea è una delle qualità più evidenti di Carne viva, romanzo d’esordio di Merritt Tierce con cui la casa editrice Sur inaugura la sua nuova collana di narrativa angloamericana (BigSur). Protagonista, Marie, una giovane donna che, rimasta incinta a sedici anni e per questo costretta a sposare un uomo che a malapena conosce, si trova presto a fare i conti con l’incapacità di interpretare un ruolo per cui non si sente all’altezza; con il naufragio del matrimonio, la figlia viene affidata al padre e Marie, per contribuire al suo mantenimento, lascia gli studi e comincia a lavorare come cameriera.

Sullo sfondo di un ambiente professionale altamente performante e alienante come quello della ristorazione, l’esistenza di Marie scivola nel lento, inesorabile olocausto del corpo, tra rapporti sessuali occasionali, droghe e autodistruzione. Dando origine a una lingua piena di sfumature che l’ottima traduzione di Martina Testa restituisce in tutta la sua impietosa oggettività, Love Me Back (così, in originale, il titolo del romanzo) traccia una disperata educazione sentimentale all’alba del nuovo millennio.

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La scrittrice americana Merritt Tierce

Ospite, oggi, di Più libri Più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria che si tiene al Palazzo dei Congressi dell’Eur di Roma, Merritt Tierce (premiata nel 2013 come uno dei cinque migliori scrittori statunitensi under 35 dalla National Book Foundation) ci spiega così come è nato il libro: «Carne viva è il risultato di un processo graduale. Ho cominciato nel 2006 scrivendo un racconto intitolato Suck It (il capitolo ’Ciucciamelo’, in Carne viva). In quel periodo mi sentivo molto arrabbiata e lo scrissi di getto, in una notte. Poi, per un anno non ho più composto nulla ma, dopo, il secondo racconto che ho scritto era ambientato nello stesso ristorante del primo e aveva la medesima protagonista (Marie). Però non era frutto di un piano. Si trattava semplicemente di quello che avevo bisogno di scrivere in quel momento. E così per la storia successiva, l’anno dopo ancora… In questo modo, ci sono voluti in tutto sette anni, ma Love Me Back non è diventato un libro se non alla fine, quando ho messo insieme tutto il materiale che avevo raccolto su questa donna – un mio alterego, se si vuole. Tutto quello che la riguarda è in questo libro che, fino all’ultimo, non sapevo se considerare una raccolta di racconti o un romanzo. I capitoli in prima persona, quelli in cui Marie si rivolge alla figlia, sono stati scritti proprio per creare una giuntura tra una storia e l’altra e fare, dell’insieme, un unico organismo».

In questo processo, come ha preso corpo e si è sviluppato il personaggio di Marie?
Tutti i capitoli ambientati nella steak-house, che ora si trovano nella seconda parte del romanzo, sono in realtà stati scritti per primi; solo più tardi ho lavorato ai capitoli iniziali, cronologicamente riferiti a un periodo precedente. Una cosa che mi piace molto è constatare come, in questi, il personaggio di Marie sembri molto più opaco, meno consapevole di sé di quanto non sia alla fine. È vero che non appare mai del tutto consapevole di chi sia e di cosa voglia, ma nella seconda parte lo è comunque di più rispetto all’inizio, dove si nota una maggiore distanza tra la Marie che osserva se stessa e la Marie più profonda, più intima, quella che si lascia vivere dagli eventi. È un’impressione che rispecchia molto il mio stato d’animo di quando avevo diciannove anni e la differenza con le mie sensazioni a ventisei o ventisette.

Sebbene nella sua vita non cambi molto e non cambi troppo nemmeno il suo atteggiamento verso il mondo, il personaggio di Marie subisce una sorta di evoluzione. Era consapevole di questo mentre scriveva il romanzo?
Francamente, non penso. È una cosa di cui mi sono resa conto solo in un secondo momento. Credo dipenda dal fatto che uno dei motivi per cui mi sento intimidita, oggi, all’idea di scrivere un secondo libro, sia che non so riconoscermi l’autorità di cui ha bisogno uno scrittore per creare una struttura organica e unitaria. Personalmente, sono molto più interessata alla ricerca della lingua adatta alla storia che voglio raccontare piuttosto che agli altri aspetti della scrittura romanzesca, perché la mia idea di narrativa è molto più simile alla trascrizione della vita reale che all’invenzione di una storia.
Dopotutto, quando fai un’esperienza non riesci a comprendere il senso di ciò che stai vivendo. Solo dopo sei in grado di trarne un significato, un insegnamento, ma sul momento pensi all’esperienza successiva senza una chiara idea del perché tu o le persone che incontri facciate quello che fate. Per questo non mi sarebbe sembrato sincero raccontare una trasformazione di Marie che non fosse aderente al suo personaggio. Credo che le persone cambino, ma sono anche convinta del contrario, perché non si può mai comprendere del tutto cosa questo significhi dalla prospettiva limitata della propria storia personale.

Qual è il rapporto tra la vita di Marie e l’ambiente in cui lavora?
Marie si ritrova in quell’ambiente per caso, ma pian piano scopre che ha bisogno di un contesto entro cui realizzarsi. Anche se non è niente di speciale, ha bisogno di un’occupazione che non le faccia pensare altro che al prossimo, perché fuori, nella vita privata, ha molte più difficoltà a mantenere il controllo. Sul lavoro, invece, riesce a ricostruire se stessa. Forse non è quello che immaginava per il suo futuro, ma è comunque una forma di realizzazione.

In «Carne viva» emerge significativamente il tema della maternità, che Marie vive in maniera tormentata e piena di dubbi. Qual è la sua opinione?
C’è questa idea corrente che diventare madre sia, per una donna, l’avvenimento più importante della sua vita, l’apice della sua esistenza, ma l’esperienza di Marie, come molte altre, smentisce questa convinzione: lei non sa cosa fare con sua figlia, non sa cosa significhi essere presente nella sua crescita o prendere decisioni per lei. Pure, sente che ci si aspetta che lo sappia. E, di conseguenza, sappia come comportarsi. Nel romanzo questo aspetto non emerge in modo troppo consapevole, ma è anche l’elemento che dà profondità a tutta la storia di Marie: il conflitto tra le due esistenze che vive e l’incapacità di relazionarsi pienamente con la parte di sé che sente essere la più importante.
Nel libro a cui sto lavorando ora il tema è affrontato in modo più esplicito perché spero si arrivi, prima o poi, a discutere davvero di cosa significhi essere una madre. Gli esseri umani sono degli animali e la procreazione fa parte della loro vita, ma non sono per questo naturalmente equipaggiati per essere dei genitori, che è molto diverso dal semplice mettere al mondo un figlio.