Si è forse chiusa una prima fase di confronto sulle risorse europee di Next Generation Ue, in cui hanno trovato spazio soprattutto le promesse e si è assistito a una corsa a tirare progetti fuori dai cassetti, come se si dovesse fare in fretta.

Ora si sta finalmente capendo che la trattativa a Bruxelles è ancora aperta, che il processo prenderà alcuni mesi e che soprattutto la vera sfida è di presentare entro aprile 2021 un Piano di ripresa e resilienza in cui fissare priorità e interventi coerenti con gli obiettivi fissati dall’Unione europea.

Il governo Conte è partito con il piede sbagliato nel gestire questo processo ma ora ha la possibilità, e la responsabilità, di costruire un percorso trasparente di elaborazione e confronto pubblico.

Per l’Italia l’opportunità è senza precedenti, perché diventa possibile investire 85 miliardi di euro per interventi diretti e 124 attraverso prestiti, a cui si aggiungono circa 40 miliardi per i fondi di coesione.

Ma non è banale quanto l’Ue ci sta chiedendo, non tutto potrà essere finanziato in quanto l’obiettivo è di «build back better»: ossia ricostruire meglio e in modo diverso, con innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale e alle disuguaglianze cresciute in questi anni.

Tanto che il Piano dovrà fissare non solo gli interventi coerenti con questi obiettivi ma anche le riforme da realizzare per dare gambe alla transizione verde e digitale dell’Europa.

Per riuscirci sarà necessario alzare il livello del confronto e avere il coraggio di fissare dei chiari paletti alle richieste. Per evitare che vadano avanti progetti che sono del tutto incoerenti con questa visione, come autostrade o inceneritori, impianti per la produzione di Idrogeno da fonti fossili.

L’obiettivo è infatti di andare oltre gli interventi “ordinari”, cogliere l’occasione per aprire i cantieri dove è più urgente ma, purtroppo, sono fermi. Ad esempio, la messa in sicurezza delle scuole, le ferrovie al Sud, gli edifici della cattiva edilizia delle periferie costruite nel secondo dopoguerra e dell’edilizia residenziale pubblica, in cui vivono milioni di persone in difficoltà.

Il confronto che va aperto è su come immaginiamo il Paese tra dieci anni. E c’è bisogno di fissare le priorità per fare in modo che si siano finalmente recuperati i ritardi nel numero di bambini che accedono alle scuole d’infanzia, nell’abbandono scolastico, nell’accesso all’università e negli investimenti in ricerca o nei dati per la diffusione della banda larga. Quando magari si sarà messo mano agli oltre 200mila ettari di terreni inquinati ancora in attesa di bonifica e alle perdite incredibili degli acquedotti, alle migliaia di scuole in attesa di riqualificazione e messa in sicurezza.

Le scelte green potranno contribuire ad accelerare questo percorso di rilancio del Paese, per i 90 miliardi di euro di investimenti che potranno mobilitare, e perché possono diventare una leva di innovazione dell’economia e di rigenerazione e rilancio dei territori, da coordinare con le altre politiche di finanziamento previste per rilanciare il sistema sanitario, sociale e per la digitalizzazione.

Di questi temi si è discusso ieri in un’iniziativa organizzata da Legambiente e Forum Disuguaglianze e Diversità dove è stato presentato un documento con le 10 sfide green che il nostro Paese deve assumere per scegliere questa direzione di cambiamento.

Una prima tappa di un percorso di confronto e osservazione civica nel quale vogliamo condividere e spingere i progetti di cui il nostro Paese ha bisogno e far capire che la partita di Next Generation Ue non è una questione del governo, o nella disponibilità di alcuni grandi gruppi, ma riguarda tutti e non ci possiamo permettere di perderla.

* L’autore è vicepresidente di Legambiente