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«Le Deuxième Acte» apre il festival, il sistema dello spettacolo è nudo

«Le Deuxième Acte» apre il festival, il sistema dello spettacolo è nudoLouis Garrell e Vincent Lindon in «Le Deuxième Acte» di Quentin Dupieux – foto di Chi-Fou-Mi / Arte France

Cannes 77 Quentin Dupieux ha presentato una dissezione cinica del set contemporaneo, un film che dialoga con l’attualità senza evitare i temi scomodi, in cui gli attori sono guidati dall'intelligenza artificiale. Nel cast Léa Seydoux, Louis Garrel, Vincent Lindon, Raphael Quenard

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 15 maggio 2024

«Cannes su un tappeto di brace» titolava ieri senza mezze misure il quotidiano francese «Libération» nel primo numero dedicato alla kermesse con riferimento alle rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici precarie dei festival, che scenderanno in sciopero se non saranno accolte le loro richieste di uno statuto uguale a quello degli altri lavoratori dello spettacolo. E al MeToo, che scuote il cinema francese – Judith Godrèche che ne è tra le principali ispiratrici presenterà sulla Croisette il suo cortometraggio, Moi Aussi – oggi in apertura del Certain regard. Godrèche è stata anche una delle portavoce nella manifestazione convocata lunedì scorso a Parigi per chiedere le dimissioni di Dominique Boutonnat, il direttore del Cnc, il Centro nazionale del cinema che finanzia il sistema francese, accusato di violenza sessuale dal figlioccio – l’udienza è prevista per il prossimo 14 giugno. «Ci siamo trovati davanti a un muro di silenzio» è stato il commento di Godrèche alla fine dell’incontro con la segreteria generale del CNC insieme a altri manifestanti – fra cui l’Associazione 50/50. La nomina di Boutonnat, voluta da Macron del quale aveva supportato la campagna elettorale, ha incontrato sin dall’inizio l’opposizione del cinema d’oltralpe per la sua politica anti-autoriale virata unicamente sugli incassi – posizione perfettamente sincronizzata con ciò che si delinea anche in Italia nelle intenzioni di Rai e Ministero.

Con l’attualità del cinema dialoga anche Le deuxième acte, il nuovo film di Quentin Dupieux – ormai molto più noto così che come Mr Oizo – che ha aperto il festival fuori concorso col suo quartetto di star, Léa Seydoux, Louis Garrel, Vincent Lindon, Raphael Quenard – quest’ultimo era Yannick, lo spettatore in rivolta nel film omonimo. E lo fa alla maniera di Dupieux, coi suoi sketch brevi e ripetuti, che sono come barzellette allucinate fra vita e sogno, in cui ossessioni e idee dei personaggi sembrano ripetersi all’infinito senza alcuna preoccupazione di cercare una forma «consensuale», anzi piuttosto il contrario, piaccia o meno, che entusiasmi o provochi irritazione. Chissà se è per questo che il frenetico regista, 18 film in 23 anni, in un comunicato rilasciato qualche giorno fa ha detto che non farà promozione per il film – uscito nelle sale francesi in contemporanea alla presentazione al Festival. «Ho parlato troppo negli ultimi tempi, forse persino di più di quanto durano tutti i mie film. Questo parla da sé, è molto loquace, contiene una sua analisi estremamente chiara e esprime tutto ciò che vorrei dire con parole ben scelte».

Il cane Messi sul red carpet di apertura di Cannes 77, foto Ap

MA COSA RACCONTA Le deuxième acte? Il riferimento più esplicito è il precedente Yannick, di cui questo è in qualche modo una sorta di controcampo. Dallo spazio del teatro l’azione si sposta a quello del cinema, e soprattutto dalla relazione fra testo, interpreti e pubblico si passa a quella più interna che riguarda il set, gli attori e le attrici dentro e fuori i loro personaggi. I quattro protagonisti stanno girando un film, una storia di un amore non corrisposto; Florence (Seydoux) ama follemente David (Garrel) ma lui non la vuole. «Non c’è chimica» – spiega all’amico Willy (Quenard) chiedendogli di sedurla perché non lo tormenti più. Arriva anche Guillaume, il padre di lei (Lindon) per conoscerlo, l’appuntamento è in un bar nel mezzo della campagna: si chiama Le deuxième acte, il cameriere ha la faccia sconvolta e sembra sempre sul punto di compiere un gesto estremo. Realtà o finzione?

È QUESTO con cui si misura ancora una volta Dupieux convocando appunto molte delle tensioni che attraversano il presente. Nel mezzo delle battute, spesso interrotte, entrano i commenti degli attori, la loro vita «reale», le considerazioni sulla mediocrità del testo, o di un certo cinema d’autore. Lo spettro dell’Intelligenza Artificiale, le gelosie di queste viziatissime e narcisiste creature, i litigi, i colpi bassi, le agenti cattivissime mentre intorno nel bar gli avventori osservano increduli senza sapere chi guarda cosa, e se ciò che vedono è vero oppure no. Sono comparse o sono reali? E loro, gli attori che appaiono nei ruoli all’inverso di ciò che sono eppure riescono a essere credibilissimi anche quando escono dalla parte, su quale limite stanno? È vero il tremore delle mani del cameriere, comparsa così stressata che a recitare sbaglia tutto distruggendo il sogno di una vita? Prova e riprova a versare quel vino – nell’indifferenza generale mentre in sala si ride – è Manuel Guillot. Magari è epilettico, chiosa Lindon-personaggio, però dai salari virtuali e reali – perché la regia è IA – gli tolgono tutto o quasi in quanto era più grasso del previsto.

Dupieux non ha mezze misure. È cinico e ironico, e non si ferma nemmeno sui temi complessi, MeToo o «politicamente corretto». Nelle prime scene Quenard si avventura nel territorio scivoloso delle parole che non si possono dire ma lui non ci fa caso perché è un tipo rozzo e pure un po’ macho – infatti a differenza dell’amico Garrel non farebbe mai sesso con una donna trans e nemmeno con un uomo – e poi scopriremo che nella vita «reale» è l’inverso e appare persino scontato. Il personaggio di Garrel che invece è sempre misurato – «attenzione ci guardano dobbiamo fare attenzione con la nostra immagine sennò non lavoriamo più» – e forse il più ipocrita, senz’altro il più meschino.

DUNQUE di cosa ci parla Dupieux? Il suo «secondo atto» nel sistema dello spettacolo appare forse più lineare del precedente – cioè di Yannick – ma animato da quella stessa voglia di denudare pose e superfici di uno star system fra le quali anche le cose più «serie» sembrano svuotarsi di valore. O almeno di realtà. Tanto che l’interpretazione più forte, quella che suscita le emozioni, si deve alla comparsa, colui che i grandi attori, o la caricatura di sé stessi, sfuggono e evitano, per il quale realtà e finzione sono in cortocircuito. Se Truffaut in La Nuits americaine (Effetto notte) compiva una mise en abyme, Dupieux va oltre e decostruisce lo stesso film passaggio dopo passaggio tra i molti piani della rappresentazione. È questo che gli permette di giocare persino con gli argomenti più sensibili per capovolgerne fra molte piroette il senso. In fondo come dice nel finale Seydoux, la realtà è la realtà. E cosa è invece il cinema?

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