Domenica di segno conservatore, in America latina. La giornata elettorale che ha visto alle urne Argentina, Guatemala, Colombia e Haiti ha fatto registrare l’avanzata delle destre nei primi tre paesi, giacché l’isola caraibica finirà di scrutinare le schede fra una decina di giorni.

In Argentina, ci sarà un secondo turno per le presidenziali, il prossimo 22 novembre, per la prima volta nella storia. Il candidato proposto dal kirchnerismo, Daniel Scioli, del Frente para la Victoria (Fpv) ha sfiorato il 37%. Il suo avversario conservatore, Mauricio Macri, che corre per Cambiemos, ha ottenuto quasi il 35%. I sondaggi davano per probabile il secondo turno, ma nessuno aveva previsto lo scarso margine di differenza tra i due: tanto che, a proiezioni in corso, Macri si è dichiarato vincente.

I risultati delle primarie (Paso) avevano dato vincente Scioli con il 38,41%, mentre Macri aveva ottenuto il 30.07%. Il ballottaggio è stato introdotto con la riforma costituzionale del 1994, dopo il patto sottoscritto dal leader del radicalismo, Raul Alfonsin e l’allora presidente Carlos Menem, ora coinvolto nell’inchiesta sull’attentato alla mutua ebraica Amia. Si stabilì allora che se il candidato più votato avesse ottenuto il 45% dei voti sarebbe stato considerato vincitore. Oppure, per passare al primo turno avrebbe dovuto vincere con una differenza di almeno 10 punti sul secondo classificato.

Cristina Kirchner, che non può più ricandidarsi, termina il mandato con un gradimento di oltre il 50%. Le urne, a cui si è recato l’80,5% degli aventi diritto su 32 milioni, non hanno però sufficientemente ricompensato il suo campo. Certo, il Frente resta forza di maggioranza per numero di parlamentari: insieme ai suoi alleati, ottiene 114 su 257 seggi. l’Fpv, di suo, ha ottenuto 97 deputati, mentre l’alleanza Pro e il radicalismo, grazie al buon risultato di Cambiemos, si disputano il secondo posto. Il capo di gabinetto Anibal Fernandez, candidato a governatore nella provincia di Buenos Aires per il Frente, ha però subito una sconfitta: la rappresentante di Cambiemos, Maria Eugenia Vidal, si è imposta con il 39,49% dei voti contro il 35,18 di Fernandez. Il capo di gabinetto ha pagato anche lo scotto di una campagna stampa tesa a collegarlo al traffico di efedrina per la produzione di droghe sintetiche. I grandi media – a partire dal Clarin – sono scesi infatti pesantemente in campo contro il kirchnerismo, decisi a cancellarne l’impronta sociale impressa dopo il default del 2001.

L’imprenditore Scioli non è Kirchner e durante la campagna elettorale ha cercato di rassicurare i poteri forti che, in tutta l’America latina premono per mettere a frutto i piani neoliberisti realizzati da Washington con l’accordo Transpacifico, il Tpp. Tuttavia, è stato il nome intorno al quale il kirchnerismo è riuscito a coagulare i consensi, scontentando gli alleati più dichiaratamente di sinistra che lo sostengono. «Sono in gioco due visioni molto diverse del presente e del futuro dell’Argentina – ha tuttavia dichiarato Scioli in chiusura di campagna -. La nostra priorità sono i meno favoriti, i lavoratori e la nostra classe media. Se fosse per Macri non avremmo gli assegni famigliari né altre coperture sociali».

Ha vinto la destra anche in Guatemala. Al ballottaggio delle presidenziali, il comico Jimmy Morales si è imposto sulla progressista Sandra Torres. Gli elettori, che al primo turno del 6 settembre avevano fatto registrare una partecipazione di oltre il 70%, questa volta hanno testimoniato con l’astensione l’assenza di una vera alternativa in campo. Su una popolazione di 7,556.873 persone, hanno votato in 4.108.615. Morales, del Frente de Convergencia Nacional, ha ottenuto il 68,2%. Torres, del partito Unidad Nacional de la Esperanza, ha totalizzato il 31,48% e ha riconosciuto la sconfitta. Durante la campagna elettorale, sia le sinistre che i rappresentanti dei popoli indigeni hanno dichiarato di non sentirsi rappresentati: certamente non da Morales, sostenuto dai circoli militari più reazionari e dagli Stati uniti, dove il comico si è recato durante la campagna elettorale.

Le forze che premono per un cambiamento strutturale avrebbero voluto aprire una fase costituente, dopo la deposizione e l’arresto dell’ex presidente Otto Pérez Molina, diventato scomodo per i suoi padrini transnazionali per via della corruzione evidenziata dalla Commissione Internazionale contro l’Impunità in Guatemala (Cicig). Con il suo slogan «Né corrotti, né ladri», Morales ha cavalcato a modo suo i mesi di protesta degli indignados guatemaltechi, ma di certo non sarà con lui che il paese, uno dei più poveri e martoriati dell’America latina, potrà risollevarsi.

Brutti segnali anche in Colombia, dove si è votato per eleggere oltre 1100 sindaci, 32 governatori e i parlamentari locali e regionali. La destra ha recuperato la capitale Bogotà dopo i 12 anni dei tre governi di centro-sinistra. Con 903.764 voti, ha vinto il candidato indipendente di centro, Enrique Peñalosa, sostenuto da Cambio Radical (del vicepresidente German Vargas Lleras) e dal Partido Conservador. Peñalosa era già stato sindaco tra il 1998 e il 2000. Un mandato durante il quale «erano aumentate povertà e disuguaglianza», ha detto la candidata di centro-sinistra Clara Lopez, che ha corso per il Polo Democrático Alternativo, arrivata terza con 498.718 voti dopo Rafael Pardo (778.050), ex ministro del lavoro del presidente Manuel Santos, sostenuto dal Partido Liberal e dalla U.

Da Bogotà (il sindaco della capitale è considerata la seconda carica più importante dopo il presidente) emerge di solito l’indicazione per la corsa alle presidenziali, che si terranno nel 2018. Lopez ha invitato il vincitore a non lasciar cadere l’impegno per la pace: ovvero per la soluzione politica che, all’Avana, cerca di concludere il conflitto armato che dura da oltre cinquant’anni. Con il Polo democratico si sono presentate anche diverse organizzazioni popolari – come Marcha Patriotica e Congreso de los pueblos – che cercano di aprire la strada a una possibile partecipazione alla vita politica della guerriglia.

Il quadro generale ha però penalizzato sia l’opposizione di sinistra che quella di estrema destra, capeggiata dall’ex presidente Alvaro Uribe, grande sponsor dei paramilitari e nemico dei tavoli dell’Avana. Uribe ha perso anche il comune di Medellin e il governatorato di Antioquia. Chi vince di più è Cambio Radical, il partito del vicepresidente Vargas: a Bogotà, Barranquilla, La Guajira, Magdalena, Sucre, Cundinamarca, Huila e anche come alleato del nuovo sindaco di Cali, Mauricio Armitage, un imprenditore indipendente che venne sequestrato dalla guerriglia, ma che ha detto di aver perdonato e di non serbare rancore.