La «questione migrante» è utile per comprendere il punto morto cui è giunta la nostra società, che ha nella crisi dell’alfabeto democraqtico il caro prezzo da pagare. Riprendere dunque a ragionare sul recupero dei principi più autentici e attualizzarli in un nuovo inizio della democrazia del nostro tempo, è questione essenziale per rifondare una «nuova umanità».

È dunque da salutare con favore il ritorno nelle librerie di Derive. Piccolo mosaico del disumano di Flore Murard-Yovanovitch (Edizione Stampa Alternativa, pagine 192 + cd con letture di Moni Ovadia, euro 16) a tre anni dalla prima edizione. «Quale eredità ha lasciato l’ultimo ventennio di narrazione pubblica distorta dell’immigrazione, incentrata su una minacciosa invasione, nelle teste dei più giovani? Quale grumo culturale ha radicato il lessico securitario e criminogeno sullo straniero nell’immaginario collettivo?» si chiede l’autrice in uno dei testi di questa sua antologia. E sono articoli, quelli della Murard-Yovanovitch, scritti per «L’Unità» e «Agenzia Radicale», che colpiscono spesso al cuore del lettore. Si potrebbe dire che ricostruiscono un alfabeto dell’umano nel rapporto col diverso, se questo non apparisse troppo pedagogico e quindi fuorviante. E si va dall’omissione di soccorso al trattamento da pazzo dell’immigrato, dalle sparizioni in alto mare alla fabbrica della paura nel linguaggio giornalistico, dallo stigma dei rumeni tutti stupratori ai roghi nei campi rom. E tante altre ordinarie follie di cui sappiamo macchiarci nel mondo del benessere.

Ma non si pensi che un libro così utile possa non avere dentro di sé delle contraddizioni, e sono proprio quelle in agguato quando si cade nella dicotomia umano-disumano: delicata e difficile coppia di parole, da maneggiare con cautela. Ecco, forse un difetto dell’autrice è quello di fronteggiare tutto questo con troppa sicumera, senza porsi il problema delle argomentazioni degli avversari, persino quelli più chiusi al dialogo. Un dramma, quello dell’immigrazione, che mette certamente a nudo l’egoismo della popolazione «benestante» del pianeta, ma guai a dimenticare che è anche un problema oggettivo per tutti. Una tragedia che l’autrice rende molto bene nei suoi testi, per esempio quello sulla storia e sul volto di Tighist, giovane donna etiope di 23 anni: «E quando, a volte, la parola non può più dire, ci sono gli sguardi, ancora increduli. Immensa dignità, pudore dei testimoni. Gli stupri, li leggi nei volti. Sono senza rabbia, vogliono una cosa sola: che le violazioni siano denunciate e fermate» racconta l’autrice, affinché, aggiunge Tighist, «nessuno debba compiere mai più questo genere di viaggio».

Nelle pagine del libro c’è anche l’immensa solitudine degli immigrati nei centri di raccolta: «La tua donna partorisce là fuori, da sola, ma tu non puoi vedere tuo figlio nascere. Sei il padre; ma grate, celle e barriere, e assurde leggi discriminatorie, te lo impediscono. Sei chiuso in un Cie, per il solo motivo di essere senza permesso di soggiorno, strappato da parenti e affetti, schiacciato l’amore, il cuore».