«Voi non potevate firmare il nostro licenziamento al posto nostro!». «E scusate, voi invece dove eravate quando per mesi abbiamo fatto assemblee e presidi sotto all’azienda e al ministero?». Il popolo di Almaviva è diviso, l’accordo sui 1.666 licenziamenti siglato giovedì notte brucia, e la folla davanti alla Cgil di via Buonarroti a Roma è incontenibile. Intanto dal quartier generale del colosso dei call center si viene a sapere che si è dimesso Marco Tripi, l’amministratore delegato di Almaviva contact (il ramo della holding che controlla i servizi in cuffietta), pare per motivi riconducibili agli esiti della vertenza.

URLA, QUALCHE SPINTONE, accuse reciproche, ci vorranno ben quattro assemblee, dalle 11 alle 18, per riuscire a far partecipare tutti alla discussione sull’accordo. E alla fine si è deciso di indire un referendum: si terrà martedì prossimo, nella stessa sede della Cgil di via Buonarroti, dalle 10 alle 17.

Tanti sono per mantenere il no: non si possono permettere ulteriori tagli a stipendi già bassi, in media tra i 500 e i 600 euro, perché c’è il part time, senza contare la cassa integrazione, la solidarietà. Lucilla è venuta in assemblea con il pancione, suo figlio nascerà in aprile: spiega che la sua busta paga lorda, per 20 ore settimanali, è di 807 euro. Se ci metti anche il 17% di taglio richiesto oggi dall’azienda e la cassa integrazione arrivi a 550 euro. Sempre lordi: immaginiamo il netto.

Chi sceglie oggi la via del licenziamento, ribellandosi «a un abbassamento della dignità che non avrebbe mai fine» – spiegano dal palco – pensa di poter fare causa contro l’azienda: ma sono vertenze legali lunghe, il cui destino non è mai certo.

Altri, invece, sono per ritornare al tavolo. E rispetto a soltanto una settimana fa, quando le assemblee compatte davano mandato alle Rsu di non accettare tagli ai salari e controlli individuali a distanza sulla produttività, sono decisamente in aumento. Adesso che hanno visto le lettere di licenziamento tremendamente vicine e un buio fitto sul futuro, in molti stanno cambiando idea. Altri che non avevano mai fatto capolino agli incontri si staccano dai social e finalmente discutono vis à vis con i colleghi.

CRISTINA HA UNA FIGLIA invalida, anche lei lavora 20 ore a settimana, è iscritta all’Ugl. Manuela e Claudia sono dipendenti Almaviva da oltre 15 anni: una è iscritta alla Cgil, l’altra non ha tessere. Tutte e tre non hanno partecipato alle assemblee, anche se hanno preso parte ai presidi, ma adesso sono venute perché non si sentono rappresentate dal no all’accordo. Anche Laura è per il Sì: «Io – spiega dal palco – lavoro al call center da 20 anni: e a fine anni Novanta, quando gli stipendi erano più alti e venivamo pagati in lire, riuscivo a comprarmi tante cose. Ora i tempi sono cambiati: i nostri concorrenti stanno in Albania e Romania, dobbiamo prenderne atto. Saremo più poveri, ma si deve pur lavorare».

Le urla bloccano spesso chi parla al microfono, ma tanti fanno quadrato intorno alle Rsu. Assurdo accusarli di aver firmato per tutti quasi per capriccio, soprattutto se non ti sei mai presentato a una assemblea. «Non ha perso il sindacato, non ha perso il governo: abbiamo perso tutti noi, perché non ci siamo mai nei momenti in cui si deve lottare». Cinzia è un po’ la memoria storica di Almaviva, ha cominciato con il proprietario – l’ingegner Alberto Tripi, padre di Marco – quando lavorava a Santi Apostoli, il primo nucleo del call center era accanto al comitato dell’Ulivo di Prodi.

«ABBIAMO BUTTATO l’anima per fargli costruire un impero, e adesso come veniamo ripagati? – dice in un intervento appassionato e ascoltatissimo – Con i tagli ai nostri salari lui ci paga i viaggi per costruire i suoi nuovi call center in Romania. Abbiamo sbagliato tutte quelle volte che abbiamo votato il sindacato solo perché ci assicura le ferie agevolate, e ora cosa ci ritroviamo? Ma non potete ottenere quello che volete stando sul divano e scrivendo frasi incazzate sui social. Le nostre Rsu ci sono sempre state, e sono rimaste sole quando hanno dovuto firmare. Adesso metteteci anche voi la faccia o tutti a casa».

Stefano Cardinali, della segreteria Slc Cgil, spiega come è andata nei tre giorni di trattativa: «Non riuscivamo a trovare un accordo con l’azienda, e il lodo che ci aveva proposto il governo a un certo punto non poteva certo andare bene perché avremmo dovuto firmare alla cieca. Ma intanto le ore passavano e si avvicinava la scadenza della procedura».

«Abbiamo chiesto allora – prosegue il sindacalista – di sospendere per un anno il pagamento degli scatti di anzianità, ma l’azienda l’ha ritenuta una proposta irricevibile. A quel punto è arrivato il governo, con la sua proposta. Visti i contenuti, abbiamo chiesto di fermare le trattative per 12 ore, per poter discutere in assemblea e avere un nuovo mandato. Ci è stato detto di no, e allora le Rsu hanno ritenuto di rispettare la scelta che voi lavoratori – spiega Cardinali alla platea – avevate fatto nei precedenti incontri».

IL REFERENDUM permetterà di potersi esprimere di nuovo, e tra l’altro a quel punto non è neanche detto che l’azienda ne tenga conto, visto che in realtà un accordo c’è già ed è stato firmato. E come tale è pienamente valido. Ma sarà sostenibile, d’altronde, scegliere di licenziare 1.666 persone senza avere più neanche l’avallo del sindacato? «Un’eventuale vittoria dei sì – dice a fine giornata la Slc Cgil di Roma e Lazio – non porterà alla riapertura immediata della partita ma sicuramente sarà un segnale di una diversa volontà dei lavoratori di cui il governo e la stessa Almaviva dovranno tenere conto».