La circolarità del movimento dei cavalli – lanciati al galoppo in slow motion, sulle pareti di Volume! – è accompagnata dal ritmo sonoro. Una corsa-rincorsa infinita, alla luce della luna, che nella sua azione ripetuta diventa quasi meditativa e spirituale, come il volteggiare dei dervisci nella danza che li avvicinano al divino. Una sorta di mantra che introduce allo spazio poetico che Avish Khebrehzade (Teheran 1969, vive e lavora a Washington) declina in una chiave cosmica. Del resto, lo stesso Pegaso, figura mitologica dell’Antica Grecia, nonché icona della mostra Time Past Hath Been Long (curata da Claudia Gioia nella galleria romana e visitabile fino al 27 maggio), pur essendo rappresentato senza ali (come lo descrive anche Eratostene), viene identificato fin dai trattati più antichi con l’omonima costellazione, tra le 48 elencate da Tolomeo, per la sua abilità a correre a una velocità straordinaria.

Abd al-Rahmān al-Ṣūfi - Avish Khebrehzadeh
Abd al-Rahmān al-Ṣūfi – Avish Khebrehzadeh

Proprio all’Almagest di Tolomeo si rifà l’astronomo persiano Abd al-Rahman al-Sufi (conosciuto in occidente con il nome Azophi) nel suo trattato sulle stelle fisse scritto in lingua araba nel 964 d.C. e corredato da una serie di disegni per ciascuna costellazione. Sembra che al mondo esistano pochissime copie del suo libro Kitab suwar al-kawakib, certamente la più antica deve essere quella trascritta intorno al 1010 da suo figlio, conservata presso la Bodleian Library di Oxford. «Quei disegni molto semplici, dai tratti poetici mi sono piaciuti molto», spiega Avish Khebrehzade. Il punto di partenza per questo progetto che ha portato nuovamente l’artista iraniana a Roma (qui ha studiato pittura all’Accademia di belle arti e ha esposto più volte, tra cui nel 2007-2008 al Macro con la prima personale presso un museo europeo) sono stati proprio i disegni dell’antico astronomo che l’hanno ricondotta ai suoi, realizzati vent’anni fa e rielaborati per l’occasione.
Poche linee definiscono le forme anche in questo corpus che propone l’idea di Khebrehzade delle costellazioni: Toro, Gemelli, Pesci, Andromeda. Uno stile essenziale in cui «la leggerezza lascia spazio per un respiro».

Il color ocra che domina è quello del deserto iraniano. Khebrehzade predilige l’apparente semplicità dell’arte presislamica: cita, ad esempio, le geometrie architettoniche delle moschee, che precedono la ridondanza della fase decorativo-ornamentale. «Nel mio lavoro entra molto anche la poesia. Mio padre era scrittore, eravamo circondati dai poeti». Un certo ritmo poetico, del resto, sembra attraversare puntualmente i suoi lavori, dalla pittura per stratificazioni all’animazione video, alle piccole sculture, rafforzandosi nel dialogo serrato tra ciò che si vede e ciò che, al contrario, è celato.

La pratica del disegno, in particolare, la accompagna nel tempo – dalla scuola superiore – ma non è un esercizio quotidiano: «gli schizzi sono tutti nella mia mente, ma prendo e conservo immagini. Il mio computer è pieno di immagini. Le vedo e le rivedo, finché un giorno non le riprendo. Come ho fatto con questo progetto su Abd al-Rahman al-Sufi».

Abd al-Rahmān al-Ṣūfi - Avish Khebrehzadeh
Abd al-Rahmān al-Ṣūfi – Avish Khebrehzadeh

Ci sono voluti circa due anni di riflessioni sullo spazio, e di continui scambi d’opinione con la curatrice, prima che il progetto Time Past Hath Been Long diventasse una mostra. Un tempo a cui si allude anche nel titolo stesso (il tempo passato è stato lungo), che prende spunto dalla teoria scientifica sulla distanza delle stelle, e su quanto la luce impieghi ad arrivare fino a noi, per aprirsi ad una visione più filosofica che si riferisce alle teorie di Sant’Agostino. Come Pegaso anche Al-Sufi si muove liberamente tra oriente e occidente, tra il mondo terreno a quello celeste, tra il passato e il presente, coinvolgendo sempre l’osservatore in quella dimensione di stupore che non dovrebbe mai mancare. «Mi piace sorprendere me stessa – confessa Avish – perché altrimenti non sento di esserci». Quanto alla presenza ricorrente dei pesci «forse è perché portano i sogni».