«Penso che abbiano fatto un errore. Avrei preferito che mi avessero avvisato, perché avrei loro detto di non farsi intimidire. Un dittatore non può imporre la censura negli Usa», nella sua conferenza stampa di fine anno, Barack Obama si è dissociato molto nettamente dalla scelta della Sony di non distribuire The Interview. Pure «nel rispetto delle azioni di un’azienda privata che ha il diritto di proteggere i suoi interessi», il precedente Usa ha riconosciuto che l’autocensura dello Studio crea un precedente negativo che potrebbe avere ramificazioni gravi: «pensate a un documentario, o addirittura alle news».

Seguita giovedì da un’abbietta mossa preventiva della Paramount che ha rifiutato a un cinema del Texas il permesso di proiettare un’altra commedia demenziale sulla Corea del Nord, (Team America, degli autori di South Park), la decisione della Sony riflette non solo paura e debolezza sconcertanti, ma soprattutto quanto il pensiero corporate, governi oggi il funzionamento di Hollywood. Meglio perdere 100 milioni subito che se poi succede qualcosa, ci sono delle cause e le azioni crollano.

E comunque, si trattava solo di aggirare il problema della sale, bastava far uscire The Interview in Pay Per View, o distribuirlo gratis online, come suggerisce Coelho. Invece niente. Che si trattasse di una commedia demenzial/giovanilistica, da cui i critici hanno preso le distanze, piuttosto che di un film «impegnato» ha sicuramente facilitato la scelta di cancellarne l’uscita. Secondo quella filosofia, oggi i fratelli Marx e Chaplin avrebbero di che stare attenti.

Su Twitter sono esplose le critiche. Molte dal mondo della commedia – Judd Apatow, Jimmy Kimmel, Bill Maher, Josh Gad. Ma anche Stephen King, Michael Moore e Mia Farrow hanno attaccato lo Studio. George Clooney ha dichiarato a Deadline Hollywood di aver tentato una raccolta di firme contro il blocco del film. Senza successo: «Questo è lo stato di paura in cui ci troviamo oggi».