Cultura

Le Corbusier, viaggiatore e reporter

Le Corbusier, viaggiatore e reporter

Convegni Una giornata, l'8 maggio, dedicata al maestro dell'architettura e al suo rapporto con la fotografia. Allo Iuav di Venezia, che la organizza insieme alla rivista archphoto.it

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 1 maggio 2015

Quest’anno ricorre il cinquantesimo della morte di Le Corbusier avvenuta il 27 agosto 1965. L’architetto svizzero, la cui opera teorica e progettuale ha condizionato intere generazioni, è al centro del simposio Le Corbusier e la fotografia. Organizzato dallo Iuav di Venezia (8 maggio, ore 9,30, Aula Tafuri, Badoer), insieme alla rivista archphoto.it e con il patrocinio della Fondation Le Corbusier, prevede la partecipazione degli storici dell’architettura, Tim Benton e Giuliano Gresleri, gli storici della fotografia Italo Zannier e Angelo Maggi. Fu Giuliano Gresleri, insieme a Giancarlo De Carlo, a scoprire durante una visita alla nipote dell’architetto, Jacqueline Jeanneret, le fotografie che il maestro svizzero aveva scattato durante il Voyage d’Orient.

Un viaggio di educazione e formazione attraversando in treno Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Italia. Una educazione non convenzionale che consentì a Le Corbusier di introiettare differenti culture architettoniche e trasformarle nel suo linguaggio poetico, a partire dall’elaborazione, nel 1923 in Vers une architecture, dei cinque punti dell’architettura: pilotis, pianta libera, facciata libera, finestra a nastro, tetto-giardino.
Attraverso la lettura degli appunti e delle lettere pubblicate nella prima edizione del Voyage da Jean Petit nel 1966, Gresleri ricostruisce questo zigzagare di Corbu per l’Europa, ispirato dallo scrittore William Ritter. Come uno Sherlock Holmes dell’architettura, trova gli indizi e li verifica. Ripercorre con le foto in tasca lo stesso itinerario del maestro, cosa certamente ardua ma indispensabile per cogliere non solo l’identità dei soggetti, ma anche il perché erano stati fotografati.
Nel 1985 la Galleria d’Arte Moderna di Bologna allestisce la mostra del Voyage d’Orient dove, per la prima volta, grazie al lavoro di Gresleri, vengono mostrate le quattrocento fotografie realizzate da Corbu.

Quello che sorprende nella stratificata analisi della sua opera è la modalità scientifica con cui Le Corbusier si serve delle tecniche visive e dei media a sua disposizione. La fotografia viene usata per aggiustare gli schizzi, realizzati nella velocità del viaggio, ma soprattutto come strumento di diffusione della sua opera al pari dei libri. Qui il ruolo del fotografo di fiducia, l’ungherese naturalizzato francese Lucien Hervé, viene annullato dalla forza del committente. Guardando con attenzione le fotografie dei progetti lecorbuseriani che Hervé realizza dal 1949 al 1965, l’interpretazione autoriale delle architetture è evidente nei provini a contatto durante le fasi di cantiere, piuttosto che nelle immagini iconiche e ufficiali volute da Corbu. D’altronde, Le Corbusier come Wright, «non apprezzava molto la fotografia in quanto mezzo espressivo – scrive Italo Zannier – affidandosi a fotografi come Hervé o Stöller, che sono stati sublimi mistificatori di spazi e chiaroscuri (…), dove l’architettura come un nudo, un paesaggio, un fiore, è soltanto un fotogenico pretesto iconico».

Questa iconografia manierista nei contrasti luce-ombra enfatizza le forme delle architetture del dopoguerra a Ronchamp e Chandigarh, avallando così la tesi di Zannier. Le Corbusier non usa solo la fotografia come un diario di appunti visivi, ma gira filmati con la Siemens B16mm che lo storico Tim Benton analizza nel suo recente libro Le Corbusier. Secret photographer. Benton offre al lettore una approfondita analisi delle fotografie, della tecnica, degli obiettivi e delle inquadrature che Le Corbusier compie con la fotografia e i film. Questo consente un’ulteriore lettura storico-critica del Le Corbusier artista visivo onnivoro di media (scritti, libri, disegni, foto, film). Le 18 pellicole originali, realizzate dal ’36 al ’38, reversibili e in bianco e nero, sono state montate dal regista Jacques Barsac nel 1987, mantenendo la sequenza dal primo all’ultimo rullo in senso cronologico, garantendone la loro esistenza fino a oggi. I soggetti sono vari, aspetti della vita familiare, il cane Pinceau II, il suo tetto-giardino a Parigi, il viaggio in Brasile del ’36, i dettagli della nave Conte Biancamano fino alle sequenze della Villa E1027 progettata da Eileen Gray, là dove Corbu avrebbe costruito il suo rifugio, il Cabanon. Alle immagini in movimento si alternano fermi immagine che Le Corbusier stampa e pubblica separatamente come accadde, evidenzia Benton, per il filmato L’architecture d’aujourd’hui, realizzato da Pierre Chenal nel 1930, come lancio dell’omonima rivista e che raffigura le architetture del tempo, comprese quelle di Corbu, dove le immagini del Plain Voisin vengono pubblicate in La Ville Radieuse.
Così l’occasione veneziana consente di riflettere anche sulla relazione tra l’architettura e la sua rappresentazione fotografica, al di là di significati documentari che la fotografia non può esaudire se non accompagnata da un palinsesto di altri documenti come testi, disegni, appunti, film.

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