A un secolo dalla Rivoluzione d’Ottobre il festival internazionale del film documentario e dell’animazione Dok Leipzig celebra il suo 60° anniversario con un’edizione che, fra “post-paura” e erosione dei valori democratici, guarda a un incerto futuro con slancio positivo. “Quali visioni del futuro possono svilupparsi quando la paura spinge la gente verso strutture di potere autoritarie?” si chiede la direttrice di festival Leena Pasanen, in carica dall’anno scorso, che rilancia “vogliamo imparare dalla Storia, mettere il sale sulle ferite ma anche osare di sognare un’utopia”. Salata nelle intenzioni quindi è la retrospettiva sulle strategie filmiche dei regimi totalitari per la rappresentazione del potere dopo il 1917 negli stati ad impronta comunista, i cui metodi sono ancora utilizzati oggi in tante agiografie politiche. Dalle biografie dei primi segretari di partito sovietici alle Pantere Nere riprese da Agnès Varda durante le loro manifestazioni a Oakland nel 1968, dalla denuncia del sistema giudiziario Usa nel 1970 da parte dello scrittore francese Jean Genet a difesa di Angela Davis alla caduta della statua di Lenin con sguardo ironico ucraino di oggi, Dok Leipzig mette a confronto i diversi esiti di modelli affini di agit-prop che percorre la storia del cinema politico.

Non è che uno degli itinerari visivi possibili attraverso gli oltre 300 film del reale presentati fra lunedì 30 ottobre a domenica 5 novembre. Attraversando le selezioni ufficiali in concorso nelle varie categorie, possiamo trovare tratti di lettura della realtà decisamente poco consuete. La storia sociale e politica di un secolo possono seguire la strada del pelo ad esempio, in ogni sua forma e collocazione sia femminile che maschile. Lo fa in modo strutturale il documentario animato Haarig (Hairy/Peloso) di Anka Schmid, giocoso incastro biografico che segue i meandri di vita attraverso pelurie e peli vari. Narrata in prima persona, la soggettiva della piccola protagonista con gli occhi spalancati nata nel 1961 racconta la propria nascita come una lotta attraverso il bacino di sua madre: “la prima cosa che sentii furono i suoi crespi peli pubici”. Mescola e alterna con divertente efficacia tecniche filmiche varie, dallo stop-motion alle riprese dal vero in bianco e nero, in dettaglio, indugiando sul corpo, sul volto, e fotografie con i colori sbiaditi del tempo passato o ritoccati con estro d’autore fino ai disegni di ogni tipo fermi o animati. Sequenze in 8mm e foto domestiche segnano l’approccio autobiografico che però si espande coniugando soggettivo a sociale, infatti prosegue a riportare le “storie pelose della sua generazione”. Così filtra le grandi categorie dell’umanità attraverso coordinate pilifere per cui i generi sono due a seconda della lunghzza dei capelli, l’immaginario si avvia sulle rosse trecce di Pippi Calzelunghe, l’importanza dei grandi uomini da Chaplin a Marx è anche una questione di barba e baffi, ma anche la capigliatura afro di Angela Davis coadiuva l’affermazione dell’orgoglio nero. Esplorazione sensuale e pretesto per scorrere liberamente su icone e tendenze artistiche, musicali e di stili di vita, Haarig stimola riflessioni e qualche sorriso sul mezzo secolo trascorso.

Apparentemente affine è Mammas hår (Mum’s hair/I capelli di mamma) della norvegese Maja Arnekleiv, figlia d’arte, che mette in scena per 6’ la madre Anita Killi (animatrice premiata ad Annecy nel 2010 per il suo splendido e toccante Angry Man). Alla mamma fu diagnosticato un cancro quando Maja era sedicenne. Senza parole, ma con un’eloquente successione di inquadrature in pixillation di Anita, seguiamo la progressione del suo aspetto scandita dalle acconciature fatte dalla figlia. Capelli lunghi e lisci, con boccoli, accorciati, perduti, ricresciuti, arricciati, stirati: la metamorfosi sulla testa della donna sintetizza in modo essenziale l’amore filiale, la gioia, l’angoscia, la ripresa alla vita piena.

Da molto tempo al genere del documentario animato viene dato visibilità specifica a Dok Leipzig e dall’anno scorso è stato istituito un premio anche per questa categoria. La selezione di questa edizione sembra prediligere gli approcci più personali e intimi, come rivela anche il corto di Elodie Dermange. Animazione disegnata con metodo tradizionale, in Intimity una donna si svela mentre si doccia, veste, trucca. Si racconta, parlando delle sue paure, dei suoi complessi, del suo percorso per accettarsi e amarsi. Per meglio rispecchiarsi e infine accettare davvero il proprio viso e corpo, decide un giorno di posare per un amico fotografo. Dagli scatti alle riprese (qui tutto disegnato con dominanti azzurre su cui si staglia la fulgida chioma rossa della protagonista) fino all’approdo al film porno in cui esplicita del tutto la sua intimità fisica, riservando per sé e per chi l’ascolta quella interiore. La sensualità delle immagini, per nulla pornografiche semmai caleidoscopiche, rendono pienamente l’evoluzione della donna nella propria individuazione e la sua opzione di lavoro dettata soprattutto dal piacere e dalla libertà di scelta.

Esperienze e problemi confessati sul proprio corpo sessuato assumono forma narrativa visiva anche in Tailor del brasiliano Calì dos Anjos. Tailor, Miro, Tertuliana, Bernardo sono transessuali di Rio de Janeiro che parlano apertamente, di problemi e desideri, delle difficoltà ad identificarsi in un genere codificato, delle relazioni con altri nell’amore e nel pregiudio. Le colorazioni bicromatiche e le aggettivazioni animate vivacizzano e allegeriscono le testimonianze che sono comunque la trave portante di questo doc animato.

Si può però documentare anche la chiusura al mondo esterno ed il rifugio in sé, come nel pittorico corto iraniano Maned & Macho di Shiva Sadegh Asadi. Qui un’adolescente rigetta il ruolo sociale riservatole e nasconde tutti i suoi sentimenti e pensieri in un mondo segreto popolato di animali.

Strategie diverse quindi per andare oltre la paura emergono anche in film che mostrano quanti giovani fuggono dalla realtà con il vestito estroso e il travestimento da cosplay, il gioco di ruolo o di altro tipo. Indagate sono le ragioni che inducono i giovani a voler scappare dal mondo e dai loro bisogni e al contempo esplorare la creatività e la potenzialità implicate con le nuove realtà emergenti.