Di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli non si hanno ancora notizie. Scomparse da Aleppo la sera tra il 31 luglio e il primo agosto, le due giovani cooperanti di Progetto Horryaty potrebbero essere in mano a criminali comuni. Un timore espresso da fonti interne alla Farnesina, che da mercoledì ha mobilitato l’unità di crisi: non sarebbero state rapite da un gruppo militare ma «il pericolo che possano essere cedute non può essere escluso», ha detto una fonte all’agenzia Agi. Ovvero, scambiate dietro un pagamento di denaro o il rilascio di detenuti. Una possibilità non così remota, visti rapimenti passati avvenuti nell’area.

Il Ministero degli Esteri ha già fatto arrivare ad Aleppo uomini della Farnesina e dei servizi segreti, ora impegnati ad attivare i canali necessari al ritrovamento delle due giovani: «Il commando che ha rapito Greta e Vanessa era composto da dieci persone, tutte armate», ha aggiunto la fonte ministeriale, mentre i media arabi indicano come possibile responsabile un gruppo armato già responsabile di sequestri simili. Le due guardie che controllavano la loro casa – si dice membri del Fronte Islamico – sono state portate via con loro ma subito rilasciate.

E mentre l’associazione per cui lavorano chiede riserbo sulle indagini, a parlare è un parente di Greta che critica la stampa italiana che non conosce abbastanza l’attuale situazione siriana. Già, la Siria. Paese leader del Medio Oriente, è alle prese da tre anni con una guerra civile ormai regionale, visti gli interessi strategici di molti regimi arabi e la loro attiva partecipazione al conflitto.

Le foto di Vanessa e Greta pubblicate su social network e quotidiani mostrano le due durante manifestazioni in piazza mentre mostrano la bandiera simbolo dell’Esercito Libero Siriano (ELS). Forza moderata di opposizione al presidente Assad, braccio della Coalizione Nazionale Siriana, da protagonista del conflitto è divenuta negli ultimi mesi una comparsa. Al suo posto, a combattere contro le forze governative di Damasco, sono altri gruppi, islamisti e qaedisti. Vero è che l’Esercito Libero Siriano controlla ancora parte di Aleppo, città devastata, seconda per importanza in Siria, da cui le due ragazze sono scomparse.

Aleppo è oggi teatro di duri scontri tra l’esercito governativo da una parte e l’ELS e alcuni gruppi islamisti dall’altra. Pochi giorni fa miliziani del Fronte Islamico, coalizione di ispirazione qaedista, ha fatto saltare in aria tunnel sotterranei, uccidendo 13 soldati. Il regime di Damasco sta lentamente riassumendo il controllo di parte della città, grazie al fondamentale sostegno di Hezbollah. A preoccupare entrambe le parti, però, è l’avanzata apparentemente inarrestabile dell’Isil, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Poche settimane fa il leader Al-Baghdadi, ex membro di Al Qaeda ripudiato dallo stesso Al Zawahiri, ha dichiarato la nascita del nuovo califfato, da Aleppo alla provincia irachena occidentale di Diyala. Un lungo corridoio nel quale intere zone e comunità sono ormai in mano ai miliziani jihadisti e svuotate della popolazione civile.

Aleppo, considerata dal nuovo califfo Al Baghdadi, uno degli estremi del suo regno, non è ancora finita sotto il controllo dell’Isil, che per ora si è fermato alle città di Deir al-Zor e Raqqa. Minacciosamente vicino. Il regime di Assad, che nell’ultimo anno ha significativamente arginato le perdite di territorio riconquistando città e comunità lungo la costa e intorno a Damasco – ancora roccaforte alawita –, approfitta della faida interna tra le opposizioni, divise sia tra laici e islamisti, che tra gli stessi qaedisti. Sempre più duri gli scontri tra Fronte al Nusra e Isil, con il primo umiliato e spinto costantemente verso ovest dall’avanzata del secondo che ormai controlla intere aree nelle province di Deir al-Zor, Ar Raqqah e Hasakah, lungo il confine iracheno, le più ricche di risorse energetiche.