L’austerità non è più particolarmente popolare nemmeno fra coloro che l’hanno appoggiata, tanto che anche Napolitano a Strasburgo l’ha criticata. Attendiamo fiduciosi che si rinneghino anche i suoi tratti attuativi, in particolare privatizzazioni, tagli ai bilanci e abbassamenti salariali che invece, come mostra il recente sito www.troikawatch.net , non passano di moda.

È forse l’imminenza delle elezioni europee, che si prevede porteranno nelle istituzioni schiere di forze euroscettiche a far sì che gli stessi propugnatori dei massacri sociali vi si dissocino? Comunque sia anche all’interno delle istituzioni europee ed internazionali compaiono critiche sempre più articolate, tematizzando le ricadute non della crisi in sé ma delle stesse politiche presumibilmente mirate a contrastarle poste in essere dalla Troika. Sì, Troika scritto letteralmente nei documenti ufficiali.

A marzo è atteso il rapporto al Consiglio per i diritti Umani dell’Onu dell’inviato speciale Cephas Lumina sugli effetti del debito estero sui diritti umani sulla sua missione in Grecia (22-26 aprile 2013); quello che dettaglierà è già desumibile dalla sua dichiarazione di fine missione, nella quale, pur col felpato linguaggio burocratico tipico delle istituzioni internazionali, denuncia violazioni di ogni genere di diritti: diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, alla casa, alla salute, segnala la crescita di povertà, ineguaglianza, le aggressioni agli stranieri e i rischi di privatizzazione di servizi di base alla persona. Per una fonte di tal genere è un discorso assi duro.

Ma la Grecia è solo un caso – anche se il più estremo – degli effetti della austerità europea. Un bilancio significativo lo troviamo in due recenti rapporti. Nel rapporto divulgato a febbraio scorso, elaborato nell’ambito della Commissione Occupazione e Affari sociali dell’europarlamento ci si concentra sugli effetti generati in Grecia, Cipro, Portogallo, Irlanda. Dopo aver citato una gran mole di studi autorevoli in materia, la relazione premette una breve ma incisiva critica al processo considerato fondamentalmente non democratico (marginalizzato il Parlamento europeo, le altre istituzioni hanno agito di concerto formando un fronte comune senza vere basi di legittimità, e senza includere strumenti e consultazioni volte alla tutela dei diritti sociali), poi passa in rassegna le disastrose ricadute nei campi: dell’occupazione (abbassamenti salariali, più precarietà, disoccupazione giovanile massiccia), di povertà ed esclusione sociale (tagli al sociale inseriti esplicitamente nelle condizioni dell’aggiustamento economico), abbandono scolastico e (scarso) dialogo sociale – cioè con le autorità dei paesi interessati.

Ancora più generale è lo sguardo del più ampio studio della Commissione sui diritti umani del Consiglio d’Europa, Salvaguardare i diritti umani in tempi di crisi di novembre 2013; spaziando nell’arco dei 47 paesi membri, si parla di violazioni di diritto al lavoro, all’acqua, al cibo, all’educazione, alla tutela dei bambini, asserendo apertamente che «molte delle misure di austerità […]hanno esacerbato le già severe conseguenze della crisi. L’intero spettro dei diritti umani è stato coinvolto – i diritti a un lavoro dignitoso, ad uno standard di vita adeguato, alla sicurezza sociale, all’accesso alla giustizia, alla libertà di espressione […]. Gruppi emarginati e vulnerabili sono stati colpiti in modo sproporzionalmente duro, aggravando le preesistenti discriminazioni nella sfera politica, economica e sociale». Si poteva parlare più chiaro?