L’attualità e l’importanza del problema di una riforma della legge elettorale è fuori discussione. Ricordo le sollecitazioni ripetute (e, fino ad ora, purtroppo vane) del Presidente della Repubblica e l’ordinanza della Corte di Cassazione che ha sollevato questione di costituzionalità della legge attuale. C’è da augurarsi che le questioni sollevate siano considerate ammissibili ed accolte. Ciò lascerebbe, peraltro, sussistere un testo normativo, bensì emendato da vizi di costituzionalità, ma complessivamente insoddisfacente. Ecco, allora, che bisogna pensare alla riforma.

Quale riforma? Non saprei, ma possono essere individuate alcune condizioni per una riforma costituzionalmente sostenibile. Una precondizione è di carattere psicologico: non bisogna caricare di attese eccessive questa legge, pur fondamentale. Non è e non può essere la soluzione definitiva di tutti i nostri problemi istituzionali. Pretenderlo può condurre a risultati controproducenti, come quello del porcellum. Direi che non esistono ricette miracolose e l’esperienza di questi anni lo ha confermato. Ciò vale altrove e vale ancor di più nel nostro paese. Vediamo le difficoltà che incontra il presidente degli Stati uniti di fronte ad un Congresso ostile; ricordiamo le vicende francesi della “coabitazione”; quelle tedesche della “grande coalizione”, etc.; ed, in qualche modo, ci consoliamo. Anche se il nostro paese presenta poi problemi ulteriori e specifici, che si collegano, a ben vedere, alla mancanza di una memoria storica largamente condivisa.

Provo ora ad elencare le precondizioni costituzionali di un sistema elettorale sostenibile. (1) La rappresentatività può essere alterata, ma deve esserlo nella minima misura necessaria a garantire la governabilità. (2) La governabilità non può essere a scapito dei quorum di garanzia costituzionale. (3)Deve essere favorita la massima possibilità di scelta dell’elettore.(4)Il sistema elettorale deve essere quanto possibile refrattario alla corruzione ed alla manipolazione. Deve esistere una sede davvero imparziale di giudizio sulle “operazioni elettorali”.

La prima precondizione è semplice e dissuade da un eccesso di misure protettive della governabilità (soglie di sbarramento in basso e premio di maggioranza in alto). La seconda precondizione è più complessa. Come è possibile assicurare maggioranze stabili (fino al limite del “governo di legislatura”) ed, al tempo stesso, non oltrepassare, il quorum di garanzia della maggioranza assoluta, previsto da non poche disposizioni fondamentali della nostra Costituzione: per eleggere il Presidente della Repubblica, niente di meno, per promuovere l’accusa nei suoi confronti, per approvare i regolamenti parlamentari, per approvare in seconda lettura, le leggi di revisione costituzionale.

L’Assemblea costituente non ha inteso vincolare il legislatore ordinario ad un certo sistema elettorale e, tuttavia, ha dettato le sue norme “nel presupposto” di un “sistema proporzionale” (ricordo l’ordine del giorno “Giolitti”, approvato il 23 settembre 1947).

In un sistema proporzionale la “maggioranza di governo” è, essa medesima, frutto di mediazioni e, comunque, non è in grado di tradursi automaticamente in maggioranza istituzionale. Non tutto quel che è accaduto nella “prima Repubblica” è da considerare positivamente: non, certo, alcune interminabili battaglie per l’elezione del Presidente della Repubblica. La stampa straniera commentò, talvolta, dicendo che «era stata scelta la persona migliore, nel modo peggiore». Ma neppure si può ammettere che scelte di tale importanza siano nella immediata disponibilità del leader della maggioranza.

Delle due, allora, l’una: o certe soglie di garanzia vengono elevate (al 55%, ad es.) in guisa tale da porle al di sopra del “premio di maggioranza”, da fissare, ad es., nella misura del 52 o 53%, oppure la garanzia va cercata direttamente nelle leggi elettorali.
La prima soluzione (che auspicavo in uno scritto del 1995) è concettualmente semplice ma proceduralmente complessa, perché presuppone una revisione costituzionale. La seconda è proceduralmente semplice ma pone problemi più sottili di ingegneria istituzionale.

Una soluzione può essere conseguita attraverso un sistema proporzionale che preveda un premio di maggioranza, evitando, però, soglie di sbarramento; oppure che preveda soglie di sbarramento senza premio di maggioranza (sistema elettorale tedesco); oppure che preveda collegi elettorali ristretti (il che equivale ad una soglia di sbarramento), secondo l’esempio della Spagna.

Può essere conseguita anche attraverso un sistema maggioritario. Un sistema maggioritario uninominale ad un turno favorisce una visibilità delle varie componenti della coalizione, che conduce alla vittoria i candidati nei collegi, perché presuppone accordi preliminari e, dunque, una distribuzione delle candidature che tenga conto del pluralismo di partenza. Un sistema maggioritario a doppio turno può essere meno favorevole al pluralismo, ma può esser temperato con quote di rappresentanza proporzionale.

Veniamo, allora, al mattarellum. Sarebbe un sistema ottimo; ma presenta un tallone di Achille: il meccanismo di scorporo, ai fini del proporzionale, dei voti utili o necessari per eleggere in via maggioritaria il candidato nel proprio collegio. Questo meccanismo di scorporo ha dato luogo alle “liste civetta” e, dunque, ad una chiara elusione della sua ragion d’essere. Le stesse decisioni della Camera sul tema sono state, come noto, altamente discutibili. Si può abolire lo scorporo, accentuando il favor per la formazione di stabili maggioranze. Oppure si può superare la difficoltà imponendo un vincolo di coalizione con indicazione del futuro leader di governo e ponendo un limite quantitativo massimo all’indicazione dei possibili leaders (cinque, sei, ad es.), con preferenza per i leaders avvalorati dal consenso di più numerosi candidati, la cui candidatura, a sua volta, sia avvalorata da un numero di presentatori sufficienti. In questo caso, lo scorporo dovrebbe, comunque, avvenire all’interno della coalizione (o della lista) così identificata, quali che siano le successive scelte dei parlamentari in essa eletti.

Si viene, così, alla terza e quarta precondizione, che sottolineano la necessaria “tenuta anticorruttiva” del sistema ed un favor per un massimo potere di scelta dell’elettore. La repressione penale è, per necessità, l’ultima linea di difesa, necessaria ma non sufficiente (extrema ratio, dice la Corte costituzionale). I (necessariamente) gravi oneri probatori cui è soggetta, il suo carattere intermittente e casuale escludono che possa integrare una “garanzia a perfetta tenuta”; e ciò si osserva a prescindere anche da considerazioni sui costi economici ed umani che coinvolge. In linea ordinaria, un buon sistema deve reggersi su regole virtuose, che di per sé evitino o smussino le spinte devianti.

La preferenza individuale presenta non pochi pericoli, sotto questo profilo. Quanto più aumenta il numero delle preferenze consentite, tanto più aumenta anche la vulnerabilità della segretezza del voto. Le combinazioni e le disposizioni delle preferenze possibili diventano allora più numerose e ciascuna di esse consente di individuare la scelta di un elettore.

Un solo voto di preferenza non comporta questi inconvenienti, ma conduce ad una gara fra candidati con incrementi di spesa pericolosi per la moralità pubblica. È vero anche, però, che una scelta inderogabile dell’ordine dei candidati da parte delle segreterie dei partiti non solo riduce, in corrispondenza, il potere di scelta dell’elettore ma, inoltre, erode l’effettiva tenuta dei quorum di garanzia, che riposano anche su una certa indipendenza del parlamentare.

Siamo, come spesso accade, ad un “passo stretto”. Come uscirne? Una via potrebbe essere quella di sistemi elettorali maggioritari di tipo uninominale (ad un turno o a doppio turno). Altra via potrebbe essere quella di un sistema proporzionale che si avvalga di una strumentazione, prima facie, di tipo maggioritario. Il nostro sistema di elezioni per le province (e quello tedesco per le elezioni politiche) prevede che il territorio sia diviso in collegi uninominali; prevede un collegamento fra i candidati delle stesse liste o delle stesse coalizioni e poi l’attribuzione in via proporzionale dei seggi alle liste o alle coalizioni così collegate. I migliori quozienti riportati dai candidati nei collegi sono titolo di preferenza nell’ambito dei seggi spettanti alla lista/coalizione.

Del tutto evidente è la necessità di un giudice imparziale anche in questo campo, dopo che la tradizionale giurisdizione domestica (art. 66 Cost.) è andata mostrando negli ultimi tempi tutti i suoi limiti (ricordo Elia). Qual è il giudice adatto? La risposta va oltre la soglia di un contributo strettamente tecnico.