Trecentodiciotto emendamenti in commissione, ma soprattutto l’ostruzionismo in aula del Movimento 5 Stelle contro il decreto Imu-Bankitalia. Sono gli ostacoli alla corsa dell’Italicum, la riforma elettorale annunciata come irresistibile dopo l’accordo a tre Renzi-Alfano-Berlusconi ma che parte a rilento. E che pure dovrebbe, secondo i piani, concludere il suo percorso a Montecitorio, commissione e aula, entro venerdì. Renzi è costretto a riunioni supplementari a Roma. Incontra Verdini, plenipotenziario di Berlusconi, poi Alfano. Minaccia sfaceli, crisi di governo se non si fa la «sua» legge – un po’ l’atteggiamento che aveva criticato in Letta. Però 36 emendamenti sono del suo partito e il segretario del Pd è costretto a trattare. Aveva annunciato che non ci sarebbero state modifiche al suo Italicum. Ma le modifiche sono pronte.

La prima, forse l’unica sulla quale c’è un accordo sufficientemente diffuso, è l’innalzamento dal 35% al 38% della quota raggiunta la quale le coalizioni hanno diritto al premio di «maggioranza» (meglio: di prima minoranza). Non ha caso è l’unico spiraglio ufficialmente aperto da Renzi nella sua intervista di ieri al Messaggero. Tutto il resto è ancora in discussione. Perché seppure Forza Italia potrebbe essere costretta ad accettare l’abbassamento delle soglie di sbarramento – quelle che nel progetto di legge originario tengono fuori i partiti non coalizzati che non raggiungono l’8% e quelli coalizzati che non arrivano al 5% – scendendo rispettivamente al 6% e al 4%, non può assolutamente dire di sì a entrambe le modifiche contestualmente. La ragione è semplice: Berlusconi è convinto di non avere nessuna speranza di vittoria al secondo turno, quando secondo le previsioni che condivide con Renzi saranno decisivi gli elettori di Grillo. Il Cavaliere ha messo la sua firma in calce all’Italicum solo perché si è convinto che può giocarsela al primo turno. Gli serve per questo una soglia bassa: il 35% è quella che, secondo i soliti sondaggi, non rimane troppo fuori portata. Di più sarebbe un rischio, un rischio inaccettabile se venisse meno a Forza Italia l’arma di ricatto verso il Nuovo centrodestra e magari verso altri centristi. Solo con soglie di sbarramento fuori dalla portata di Alfano e Casini Berlusconi può immaginare un ritorno, se non propriamente a casa almeno in coalizione.

Dunque no a ritocchi agli sbarramenti, ma sì all’innalzamento della soglia per il premio. Cosa che Renzi presenta come una «concessione» alle ragioni di chi critica il premio di maggioranza eccessivo del 18%, come per esempio la Consulta. Ma il problema resta: se i voti dei partiti coalizzati che non superano la soglia finiscono regalati ai partiti maggiori, Pd o Forza Italia, il premio di maggioranza reale resta un premio stellare. Sul punto Ncd ha presentato una proposta di modifica, per salvaguardare i voti dei partiti piccoli, ma non incontra il consenso di Verdini. Così come tutti gli emendamenti che vorrebbero introdurre le preferenze, superando le liste bloccate: Berlusconi non cede. Può solo dire sì a un mezzo obbligo di primarie, purché agirabile. Qualche chance ha invece Alfano che, a corto di nomi spendibili, sta cercando di cancellare una delle poche cose buone dell’Italicum, il divieto delle pluricandidature.
Un problema all’inizio sottovalutato è la ridefinizione dei collegi. Un obbligo quando si cambia sistema elettorale e in questo caso si passerebbe ai collegi piccoli, grosso modo come le province. Forza Italia non vuole che sia il governo a fare i calcoli necessari. E non per ragioni di tempo, perché si dice che all’esecutivo servirebbero tre mesi e salterebbe la possibilità di votare a maggio: il parlamento non sarebbe certo più rapido. Ma perché a sovrintendere all’operazione, che permette di ritagliarsi qualche vantaggio elettorale, sarebbe il ministro dell’interno. Invece Berlusconi vuole Alfano sotto schiaffo, per costringerlo all’alleanza.

Ieri tardi, prima che la commissione affari costituzionali potesse finalmente iniziare, Renzi ha dovuto presidiare la riunione del gruppo Pd. Ha chiesto di rinunciare agli emendamenti «personali». Ma non ci sono solo le iniziative dei democratici. Sulle soglie e sulle preferenze l’Italicum può saltare.