Urne aperte oggi in Bosnia-Erzegovina dove poco più di tre milioni di cittadini sono chiamati a rinnovare 64 consigli comunali nella Federazione della Bosnia-Erzegovina e 56 nella Republika Srpska, le due entità che compongono lo Stato. Un voto segnato da sospetti di brogli elettorali e dalla paura legata ai contagi, che potrebbe tuttavia regalare qualche sorpresa.

Come sottolineato dal think tank sloveno International Institute for Middle East and Balkan Studies, le amministrative bosniache potrebbero porsi sulla scia dei cambiamenti politici che hanno caratterizzato le ultime elezioni in Montenegro. Il voto che ha sancito la sconfitta storica dell’uomo forte del Montenegro Milo Djukanovic, al potere ininterrottamente da quasi trent’anni, ha avuto dei riflessi immediati anche sulla scena politica bosniaca e in particolare in Republika Srpska dove c’è stato un primo rimpasto dell’esecutivo dopo la fuoriuscita dell’Dns, uno dei partner della coalizione di governo guidata dall’Snsd, partito nazionalista di Milorad Dodik.

Ed è proprio a Banja Luka, capoluogo dell’entità a maggioranza serba, che si gioca una delle partite politiche più importanti di questa tornata elettorale. I sondaggi infatti consegnano la vittoria a Drasko Stanivukovic, candidato del Pdp, principale partito d’opposizione. Analogamente, a Sarajevo il voto va configurandosi come un test elettorale per l’Sda, principale partito dei bosniaci musulmani. Le elezioni di oggi quindi potrebbero mettere un’ipoteca sull’egemonia dei partiti che hanno dominato finora la scena politica della Bosnia-Erzegovina, confermando una tendenza già vista non solo in Montenegro, ma ancor prima in Kosovo dove le urne hanno sancito lo scorso anno la sconfitta della “coalizione della guerra” al potere nel Kosovo indipendente da undici anni.

Riflettori accesi anche sul voto di Mostar, capoluogo dell’Erzegovina a maggioranza croata, dove si svolgeranno in data diversa, il prossimo 20 dicembre, le elezioni municipali per la prima volta dal 2008. La legge elettorale della città di Mostar, imposta nel 2004 dall’Alto rappresentante Paddy Ashdown, era stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale bosniaca nel 2010 e alla sua abrogazione è seguito un vuoto legislativo colmato solo quest’anno grazie al raggiungimento di un accordo tra l’Hdz Bosnia, principale partito croato-bosniaco, e l’Sda.

Bisognerà attendere quindi prima di tracciare un bilancio dei mutamenti che sembrano affacciarsi in Bosnia e che peraltro rischiano di essere seriamente offuscati da tentativi denunciati nelle scorse settimane di alterare il voto tramite quella che i media hanno ribattezzato come «ingegneria elettorale». Dalla rielaborazione dei dati di Faruk Hadzic dell’Università di Tuzla, tra gli elettori registrati nelle liste e i cittadini che superano la maggiore età ci sarebbe una differenza di più di 270mila unità. Una discrepanza che sarebbe ancora più alta se non si considerassero gli aventi diritto al voto residenti all’estero, in particolare Serbia e Croazia. Un dato controverso se si tiene conto che il numero degli elettori all’estero è quasi raddoppiato rispetto alle politiche del 2018 e che come sottolinea il sito d’informazione Birn, tali voti confluiscono perlopiù nei partiti nazionalisti serbo-bosniaci e croato-bosniaci.

L’elemento di continuità col passato è costituito invece dalla «retorica divisiva e negativa che approfondisce le divisioni esistenti e che rende ancor più difficile la riconciliazione in Bosnia» come ha evidenziato l’Alto rappresentante Valentin Inzko. Una retorica che è sembrata a volte ricordare gli anni bui che hanno preceduto il conflitto degli anni Novanta, a dimostrazione forse che la politica è sempre più in crisi e lontana dalla realtà.