Inviterei tutti, a questo proposito a risentire, è ampiamente presente in rete, l’intervento che il 7 giugno 2015 Stefano Rodotà fece all’Assemblea della coalizione sociale promossa da Landini. Seduto e perfettamente a suo agio fra i licenziati di Pomigliano, i giovani rappresentanti delle associazione dei precari, gli occupanti di case e di luoghi pubblici abbandonati, i migranti e le associazioni che per l’accoglienza dei migranti lavorano, Rodotà si confrontò apertamente con chi usava la categoria di «movimentismo», per svalorizzare il valore politico e culturale delle mobilitazioni sociali.

E DISSE CHE PROPRIO da qui, dalla pretesa dei partiti di essere sovraordinati alla politica che si fa ogni giorno nei luoghi di vita e di lavoro delle persone, aveva origine una concezione povera della democrazia, relegata alle elezioni e alla rappresentanza istituzionale. Che finiva poi per diventare «democrazia senza popolo e senza società». Una democrazia capace di sopportare pazientemente che la maggioranza del popolo non vada più a votare. Rodotà non aveva allora molte speranze nella rigenerazione dei partiti e della sinistra. E vedeva nella ripoliticizzazione della società, nei movimenti che concretamente si battevano sul terreno dei diritti, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, i soggetti fondamentali per far rinascere la speranza dei un altro mondo possibile.

Erano i movimenti ad aver messo al centro i grandi temi del nostro tempo. Il rifiuto della privatizzazione del patrimonio pubblico e del paesaggio, la lotta alle disuguaglianze crescenti, la difesa del carattere pubblico dei più preziosi fra i beni comuni – l’acqua, l’aria, la terra, la scuola, la cultura – contro il mercatismo dominante nella stessa sinistra di governo. E li invitava a non aspettare qualcuno per cui votare ma a riprendere la parola in prima persona, come le mondine della canzone popolare che cantava Giovanni Daffini, che, ricordava Rodotà, ai tempi di quella canzone non avevano nemmeno diritto di voto, ma «che sebben che siamo donne in lega ci mettiamo\abbiam delle belle e buone lingue e ben ci difendiamo».

Rodotà e il mondo che quel giorno lo ascoltava diffidavano della politica dei partiti, anche di quella molto di sinistra, e avevano le loro buone ragioni. La sinistra dovrebbe riflettere che oltre alla antipolitica becera e qualunquista, esiste anche un’antipolitica a ragion veduta, e provare a rimuovere le ragioni che di questa antipolitica stanno alla base.

AL BRANCACCIO FORSE abbiamo cominciato a colmare la distanza. C’erano lì, assieme a Sinistra Italiana e agli altri soggetti politici che a quella assemblea hanno aderito, molti di quelli che animavano l’Assemblea del 2015, che nonostante non fossero riusciti a farsi coalizione, non avevano smesso nemmeno per un momento di occuparsi dei poveri, degli sfruttati, contro la privatizzazione dei beni di tutti.

E forse consapevoli che anche per fare coalizione sociale la politica era necessaria. Ma una politica finalmente diversa. Magari sulla scia di Podemos, di Sanders, di Corbyn, capace di parlare la lingua dei poveri e degli esclusi, di ricostruire coerenza fra i programmi elettorali e i desideri e i bisogni di chi alla politica non ha nemmeno più la forza e il coraggio di avvicinarsi.

Tomaso Montanari nella sua relazione ha cominciato a delineare, nel merito e nel metodo, il modo di costruire questa politica e questa sinistra diversa. Unita, perché l’unità è un valore ed è essenziale se si vogliono render protagonisti le persone e i territori, evitando ogni logica di schieramento, ma discontinua nei contenuti e nelle forme dalla stagione che ci sta alle spalle, quella per intenderci del centro-sinistra, che esce tra l’altro clamorosamente sconfitta dalle elezioni amministrative.

E I CONTENUTI SONO a questo punto essenziali, l’unico vero terreno di verifica, evitando lo spettacolo desolante del dopo elezioni, in cui nei talk show e nei giornali hanno dominato gli strateghi del politicismo, quelli della coalizione o dell’andare da soli, discutendo a prescindere dal fatto che meno della metà degli aventi diritto è andato a votare. Se si vuole provare a riportarceli occorre provare a dare risposte a chi è licenziato e non sa più dove sbattere la testa, a chi non si cura più perché non se lo può permettere, a come trovare e spendere le risorse per affrontare lo scandalo dei diritti costituzionali negati.

I PUNTI PROGRAMMATICI esposti da Montanari sono il primo tentativo per mettere in fila le azioni necessarie per dare risposte a queste domande. Per questo chi era al Brancaccio, e tantissimi da casa, li hanno accolti positivamente. Iscritti o non iscritti ad un partito, ad una associazione, a un sindacato. È a questi punti che spero diano risposta tutti quelli che si propongono di ricostruire la sinistra e una politica all’altezza delle persone che si vogliono rappresentare. Prima di parlare di governo e di opposizione, di schieramenti e di formule.

Saranno gli elettori a stabilire se per questa sinistra, che non avrà paura di essere opposizione, si apriranno possibilità di governo. Sinistra senza trattino, e possibilmente con il suo colore, che come è noto è rosso. Come la cravatta, la coccarda e le bandiere di Corbyn, che assieme ai contenuti e ai valori della sinistra prima che fossero spazzati via dal blairismo, ne ha recuperato anche il colore.