Nel pomeriggio di sabato scorso, dopo aver segnato in tuffo il goal dell’1-0 contro il Crotone, il centravanti della Lazio Ciro Immobile è planato sul campo da gioco sollevando un’onda d’acqua. Quel giorno, tra le 7 e le 8 del mattino, sulla città calabrese e nell’intero territorio provinciale erano caduti ben duecento millimetri di pioggia (20 centimetri) nel giro di un paio d’ore, creando «pesanti disagi ed allagamenti» (Ansa), tanto da mettere in forse anche la partita di Serie A.

L’EPISODIO DEL 21 NOVEMBRE A CROTONE verrà censito nel prossimo rapporto 2021 dell’Osservatorio di Legambiente cittàclima, a ulteriore conferma che stiamo affrontando eventi estremi sempre più frequenti. Perché, come spiega il titolo dell’edizione 2020, presentato mercoledì 25 novembre con dati aggiornati a ottobre, «il clima è già cambiato» e gli effetti del climate change sono parte del quotidiano: non è solo l’evidenza scientifica a dircelo (un esempio: dalle misurazioni del ghiacciaio della Marmolada emerge come negli ultimi 70 anni si sia perso oltre l’80% del volume, passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni del 2020), perché a colpire nel lavoro dell’Osservatorio sono anche foto e date raccolte nelle 146 pagine del volume.

LEGAMBIENTE QUEST’ANNO HA INFATTI deciso di tracciare una «mappa di 10 anni di impatti nel territorio italiano» e quindi le immagini rimandano ad episodi di cronaca magari dimenticati: gennaio 2014, una frana provocata dalle piogge intense fa deragliare un treno Intercity in Liguria; gennaio 2013, l’esondazione del fiume Crati provoca l’inondazione degli scavi archeologici di Sibari (Cs); estate 2020, alluvione a Palermo (e Matteo Salvini, leader della Lega, nonostante 10 bambini ricoverati per un inizio di ipotermia Twitta: «A furia di pensare solo agli immigrati, il sindaco Orlando dimentica i cittadini di Palermo: basta un temporale e la città finisce sott’acqua»). Ma non era un temporale: erano 135 millimetri di pioggia in poche ore.

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE SOTTOLINEA un aspetto: le aree urbane e metropolitane sono le più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici, perché l’andamento delle piogge, gli episodi di trombe d’aria e le ondate di calore si stanno ripetendo con frequenze drammatiche. La città con più eventi estremi tra il 2010 e l’ottobre 2020 è Roma: se ne sono verificati 47, di cui 28 allagamenti in seguito di piogge intense. La città di Roma, nel 2018 si è anche trovata a dover fronteggiare un’emergenza di enorme portata e di segno diametralmente opposto: la siccità. Nonostante fossero state emanate ordinanze per limitare l’uso idrico in giardini, piscine, orti e lavaggio auto e alcune zone fossero soggette all’abbassamento di pressione dell’acqua negli appartamenti, tali iniziative non sono state sufficienti a garantire una crisi e si è dovuto attingere dal lago di Bolsena, finché il 22 luglio 2018 in seguito alle captazioni il livello idrometrico è sceso a -164 cm. A quel punto è stata richiesta l’interruzione dei prelievi.

SONO CRISI NON CASUALI, DA NON DIMENTICARE: e non lo sono nemmeno quelle che a Milano riguardano le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro. Legambiente ne ha contate ben 20 tra il 2010 e il 2020. Colpito, sempre, il quartiere Niguarda. In tredici casi le esondazioni e i danni provocati da piogge intense hanno interrotto linee di metro e tram. Le stazioni più colpite sono Zara, Istria, Marche, Maciachini. Non è naturale che sia così: sono gli effetti di scelte dell’uomo, a cui oggi si prova a «riparare» avviando la costruzione delle vasche di laminazione per il fiume Seveso, anche se la vera soluzione sarebbe quella di lasciare spazio ai fiumi (vedi l’ExtraTerrestre del 22 ottobre, Spazio ai fiumi, le opere non ci salvano). Per questo Legambiente chiede di vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati in passato. Il rapporto Cittàclima cita anche altri numeri. Quelli di una ricerca dell’European Data Journalism Network, ad esempio, ha confrontato le serie storiche delle temperature dei comuni italiani dal 1960 a oggi: a Roma la temperatura è aumentata di +3,65°C dal 1960, seguita da Milano (+3,34°C) e Bari (+3,05°C). «Il fenomeno delle isole di calore contribuisce a raggiungere questi incrementi, in special modo perché nei quasi 60 anni presi in considerazione si è continuato a costruire nelle aree urbane e metropolitane rendendo sempre meno permeabili i suoli ed areate le città, a cui si sono aggiunti più auto, mezzi inquinanti ed uso di condizionatori» evidenzia il rapporto.

CINQUE RICERCATORI DELL’ISPRA FIRMANO un’analisi su cambiamenti climatici ed erosione nelle città costiere, le più vulnerabili a causa dell’«uso intensivo di origine antropica della fascia costiera». In due regioni – Liguria e Marche – il suolo entro i 300 metri dalla costa è per quasi metà impermeabilizzato. Per questo, Legambiente chiede di vietare qualsiasi edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate come aree di esondazione al 2100 per l’innalzamento del livello dei mare. Tra gli altri suggerimenti alla politica anche quello di vietare l’utilizzo dei piani interrati come abitazioni: ad Olbia e a Livorno tante persone sono morte in questi anni perché vivevano in appartamenti sotto il livello della strada. Per mitigare gli effetti delle isole di calore nei quartieri, invece, le proposte sono due: una riguarda le pavimentazioni degli spazi pubblici e privati, che possono mitigare l’incidenza delle radiazioni solari estive, l’altra incentiva l’utilizzo di materiali e colorazioni con prestazioni certificate, di tetti verdi, vasche e fontane, che contribuiscono a ridurre l’aumento delle temperature esterne.

ALCUNI COMUNI LO FANNO. A MILANO un esempio c’è: è piazza Gae Aulenti, sotto la torre Unicredit. Le fontane presenti creano un microclima con temperature di 9 gradi inferiore a quella esterna, una vera e propria innovazione per Milano. Serve di più, però: l’Italia è l’unico dei grandi Paesi europei senza un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici.

SOLO DUE CITTA’ – BOLOGNA E PADOVA – hanno adattato uno strumento per affrontare questa fase molto complicata. Ecco perché Legambiente denuncia: «Non dobbiamo sprecare le risorse di Next Generation Ue e non abbiamo tempo da perdere, occorre che il Decreto Legge annunciato dal Governo per la difesa del suolo dal dissesto idrogeologico contenga la risposta a queste sfide».