Almeno da quando Alison e Peter Smithson scrissero Without Rhetoric (1974) l’uso dell’aggettivo retorica collegato all’architettura è impiegato per marcare differenze e segnare distanze. «Oggi si è influenzati contemporaneamente da tanti fattori differenti – dichiarava la coppia di architetti inglesi – è dunque finito il tempo per ogni tipo di retorica nelle singole architetture».

A DISTANZA di quasi cinquant’anni dai tempi della Swinging London, Nuno Brandão Costa e Sérgio Mah, curatori del Padiglione portoghese alla Biennale di architettura di Venezia in corso di svolgimento, hanno intitolato Public Without Rhetoric la loro mostra che idealmente vuole richiamare quella particolare disposizione critica di messa in discussione dei valori comunicativi egemoni espressi dall’architettura contemporanea.
A Palazzo Giustinian Lolin, sede della Fondazione Ugo e Olga Levi, è possibile comprendere in modo evidente l’importanza che può svolgere l’iniziativa pubblica se sorretta da rigore intellettuale e volontà di azione nel qualificare luoghi e spazi della città e del paesaggio nel segno di valori civili e politici condivisi.

IL PORTOGALLO, a dispetto della crisi finanziaria che ha colpito dai primi anni duemila in particolare i paesi del sud Europa, ha non solo dimostrato, in controtendenza, l’importanza dell’investimento in infrastrutture pubbliche, quali quelle portuali, educative e culturali, sportive, etc., ma che il tema complesso della «costruzione della forma – come ribadiscono i curatori in premessa al catalogo (Monade) – rimane permeato dalla razionalità della funzione e della necessaria soggettività autoriale e estetica».

DI FRONTE L’«OGGETTIVITÀ perentoria» dei bisogni che deve soddisfare lo spazio pubblico si può fluttuare tra differenti e «legittime interpretazioni», ma ciò che deve guidare la scelta è la considerazione che gli edifici dovrebbero «essere pensati come frammenti che contengono in sé la capacità di agire con altre costruzioni e di essere essi stessi collegamenti».
Accade così ad Agra do Heroísmo con la sua Biblioteca e Archivio Regionale (2006-16) di Inês Lobo che ingloba a sé un preesistente palazzo barocco. Oppure a Tours il Centro di Arte Contemporanea Oliver Debré (2014-16) di Manuel e Francisco Aires Mateus che si accorda quasi congiungendosi all’antico collegio in stile deco, o ancora a Napoli la Stazione Metro Municipio di Alvaro Siza, Eduardo Souto de Moura, Tiago Figueiredo, che dopo il lungo travaglio iniziato nel 2000 ha visto finalmente la sua fine consegnandoci una «città parallela che ridisegna con forza la città originale», mostrandone le secolari stratigrafie e rendendo unico nel suo genere lo spazio ritrovato nelle profondità della terra.
Al piano superiore del palazzo veneziano ognuno dei progetti è illustrato con cura e raffinata combinazione di disegni, modelli in scala e immagini analogiche proiettate con kodak carousel che conferiscono all’insieme un certo tono vintage, mentre all’ingresso una serie di video di quattro registi (Andrè Cepeda, Catarina Mourão, Nuno Cera, Salomé Lamas) esplorano sul piano filmico la natura di ogni opera. Anticiclica, resistente alle tendenze del momento, respingente qualsiasi compiaciuto formalismo, l’architettura portoghese convince in particolare per la sua capacità di dialogo con il paesaggio.

ACCADE che vi si adagi in prossimità del corso di un fiume in maniera semplice, lineare e astratta come fa Miguel Figueira con la sua barra allongada del Centro Nautico a Montemor-o-Velho, o in modo giocoso come preferisce João Ribas, curatore alla XXXII Biennale d’Arte di São Paulo (2017-2018), che invita cinque giovani gruppi di architetti per realizzare altrettanti padiglioni effimeri all’interno di un parco alberato. È però João Luís Carrilho da Graça con il suo Terminal Crociere a Lisbona a fornire la migliore prova di cos’è l’«architettura con l’A maiuscola» (Rodrigues).
Il suo prisma piatto e ampio si solleva dal suolo come se lievitasse. Davanti al Tago l’infrastruttura ha la stessa forza attrattiva che ha l’antico Monastero di San Geronimo: «senza retorica», mostra qual è il grado di sensibilità, rigore e intelligenza da possedere per trasformare come si conviene il paesaggio e l’ambiente urbano.