Siamo arrivati al punto che dal controllo delle carte si passa al sequestro di un capo di Stato, come è accaduto per Evo Morales ieri notte trattenuto dieci ore nel sospetto che portasse sull’aereo presidenziale boliviano il «super-ricercato» dagli Stati uniti Edward Snowden.

Questo sembra essere il punto di arrivo di una vicenda in cui al risentimento per essere stati controllati si associa il persistere nella stessa logica di voler un controllo totale e capillare. Non vi è dubbio che sapere di essere stati spiati – e forse di esserlo tuttora – getta sconcerto, rabbia e desiderio di ripristino del rispetto della propria privatezza, sia per le persone, sia per le realtà collettive e lavorative, sia per le istituzioni.

Ancor più dà perplessità e collera sapere che chi ti spia è chi formalmente è tuo alleato, amico, che dice di condividere con te obiettivi, anche di difesa comune rispetto a situazioni viste come potenzialmente aggressive; e ti riscopri invece a confrontarti con un retro pensiero che implicitamente colloca anche te tra queste.
Si comprende, quindi, a una prima sommaria lettura l’ira che traspare in molte dichiarazioni di autorità europee in questi giorni in cui un’immagine orwelliana aleggia sulle relazioni con il maggiore alleato dell’Unione. Si comprendono i toni, le minacce che Viviane Reding ha avanzato sulla possibile messa in sordina dei negoziati commerciali in corso e anche le affermazioni del Presidente Martin Schulz.

Quello che è più difficile capire fino in fondo è il totale stupore e la mancanza di ogni connessione tra quanto oggi emerge e quanto ieri, all’incirca dieci anni fa, si è avviato nel contesto enfatico di una lotta al terrorismo internazionale che vedeva come lacci e laccioli tutti i richiami al pieno rispetto di convenzioni internazionali, pur in una lotta da portare avanti con determinatezza, di salvaguardia dei diritti individuali delle persone e del rigido attenersi a quell’insieme di regole che costituiscono la fisionomia di una società democratica. Perché ciò che oggi si sa circa il ricorso a una sistematica e bulimica mole d’informazioni che supera i limiti del rispetto individuale, collettivo e istituzionale, è frutto di quella cultura.

Nel dibattito acceso di quegli anni, mentre qualcuno andava affermando che i divieti assoluti conquistati negli anni, quali quello di tortura, di trasferimento in altri stati senza percorrere le vie giuridicamente definite, di detenzioni segrete, erano un residuo di un passato ormai non più in grado di descrivere le necessità del nuovo scenario, mentre di tutto ciò si discuteva, due vie venivano imboccate, tali da mutare il modo tradizionale di prevenire, indagare, sanzionare. La prima via ha riguardato l’anticipazione abnorme della soglia della prevenzione: lo spostamento in avanti di misure, anche detentive, prima ancora che si configurasse un perché, un indizio. Così alcuni paesi europei – penso al Regno Unito – hanno approvato leggi che permettevano di privare della libertà una persona senza formulare, neppure nel medio periodo, un’imputazione formale, ma semplicemente su un vago sospetto, su stili di vita, rafforzando queste scelte con il massiccio ricorso all’intrusione nella vita dei singoli, quasi a dare una parvenza di fondamento alla decisione di detenzioni di fatto illegittime. Altri hanno agevolmente permesso che i propri cieli venissero sorvolati da aeri di non chiara identificazione, di ancor meno chiara destinazione, senza alcuna volontà di conoscere cosa e chi trasportassero e per quale finalità: tutto giustificato da una vaga giustificazione sulla base di informazioni acquisiate e dal desiderio di acquisirne altre in modi e luoghi poco ortodossi.

La seconda via è stata quella di accumulare una grande mole di informazioni potenzialmente utili in un futuro, al di là di chiare finalità e giustificazioni. Tutti hanno contribuito a costruire una grande massa di informazioni che venivano cedute, trasferite, senza troppi controlli o difese della privatezza dei propri cittadini, sempre autoassolvendosi sul piano di una possibile anticipata soglia preventiva. Il passo dalle informazioni sui singoli a quelle sulle loro realtà socialmente aggregate, sia sul piano di scelta personale, sia su quello delle realtà d’impresa o delle organizzazioni sociali è breve e scivoloso: fino a giungere a spiare un intero stato, anche se formalmente amico. Così gli archivi massicci di mail, di connessioni telefoniche, di contatti sui social ecc, oggi costituiscono la foto plastica della follia del presente: che pensa che il «totale», inteso come totale conoscenza, totale intrusione, totale accesso a dati, sia gestibile e utile. Sbagliando in entrambe le attese. La sua utilità è solo in negativo: nella distruzione dei sistemi di regole che non sono lacci ma punti di forza di uno stato di diritto.