Negli ultimi anni la scena cinematografica taiwanese, specie quella relativa al documentario, sta offrendo lavori interessanti, sia dal punto di vista formale che per quel che riguarda gli argomenti trattati. Una regista e artista che si sta facendo notare nei circuiti festivalieri internazionali con i suoi film a metà strada fra non-fiction e sperimentazione è Lin Hsin-i, autrice nel 2015 di «3 Islands» e quest’anno del mediometraggio «Letter #69». Si tratta di due lavori che esplorano dei momenti storici e di rottura importanti, cicatrici geografiche e umane che ancora risuonano nella contemporaneità. «3 Islands» intreccia le immagini e il tragico passato di tre territori, Okinawa, Taiwan e le isole Jeju nella Corea del Sud all’epoca della Guerra del Pacifico. Citazioni letterarie, da Marguerite Duras a Kenzaburo Oe fino a T.S. Eliot, si intersecano e trovano contrappunto con immagini belliche di repertorio, arte contemporanea e visioni di rovine nelle suddette zone. Il passato viene fatto rivivere così da diversi punti di vista e continuamente riportato in vita e riposizionato rispetto al presente quasi seguendo le costellazioni benjaminiane. L’atto stesso del ricordare assume una posizione centrale nelle riflessioni visive della regista, ma non è mai un ricordare museale e neanche un astratto che si compiace esteticamente nel metafilmico. Ciò che viene riportato a galla, in un tessuto complesso va detto, è sempre qualcosa di concreto, tragicamente concreto, come nel caso di «#Letter 69», mediometraggio che riflette sul cosiddetto Terrore Bianco, periodo di purghe iniziato nel 1947 in cui lo stato centrale cinese perseguì e condannò a morte tutti i dissidenti politici. Il lavoro è strutturato seguendo le 69 lettere che Shi Sui Huan scrisse dal carcere dove fu rinchiusa per aver protetto suo fratello, dissidente, prigione dove la donna morì nel 1954 lasciando la sua ultima lettera, la numero 69, bianca. La tomba dove giace la donna, che non era un’attivista politica ma cercava solo di difendere un suo familiare, si trova in un angolo del cimitero di Liuzhangli a Taipei, luogo dove si trovano le spoglie di altre 201 persone uccise durante il periodo. Questa zona del cimitero fino a una trentina di anni fa, nel 1987 quando cioè la legge marziale fu abrogata, era ancora considerata tabù e un luogo che nessuno aveva il coraggio di visitare per paura di ripercussioni. La bravura di Lin Hsin-i in «Letter #69» così come in «3 Islands» è quella di saper creare, partendo da forti premesse storiche e agganciando i materiali più eterogenei, un tappeto visivo e sonoro capace di affascinare e allo stesso tempo destabilizzare lo spettatore.