Lo spettro della crisi si allontana. Lo si percepisce a pelle dai vicendevoli inviti a smettere da litigare, un «Vogliatevi bene» inaugurato da Di Maio che esorta Salvini e Conte a smettere di litigare. Come se ai ferri corti col premier non ci fosse arrivato anche il suo partito. La tregua è confermata dal primo incontro diretto tra i vicepremier da due settimane: al termine entrambi assicurano che è andato bene. Mancava il triumviro di palazzo Chigi, Conte, ed è un’assenza che sarebbe impossibile non notare: si trovava a pochi metri di distanza. Segno che le tensioni continuano a correre sotto pelle e come potrebbe essere diversamente dopo una giornata campale e disastrosa come quella di mercoledì?

Ma questi leader vantano una capacità inaudita di farsi scivolare addosso tutto e recitano per l’ennesima volta una sceneggiata sempre uguale. Arrivano sull’orlo della crisi, lo oltrepassano anzi perché in qualsiasi altro Paese il governo non sarebbe uscito vivo dalla catastrofe dell’intervento di Conte al Senato disertato dalla sua stessa maggioranza. Poi ripartono fingendo che non sia successo niente.

Qualcosa invece è successo e lo si capisce dalle parole di Salvini, intervistato dal Sole/24 Ore. Conferma che la crisi si è allontanata anche se «la convenienza della Lega sarebbe andare a votare domattina». Ma dopo «i sì incoraggianti di martedì e mercoledì» si va avanti. Con una lista di questioncine sulle quali il leader leghista attende ore nuovi sì, che arriveranno, prima o poi, più o meno sofferti, ma inevitabilmente perché i 5S sono con le spalle al muro e la resa sulla Tav lo ha dimostrato a tutti. Inclusi loro stessi. Non a caso la domanda chiave nel colloquio tra i due leader non è stata sul cosa fare a proposito di questo o quel nodo in agenda. E’ stata quella rivolta da Salvini al pentastellato: «Il tuo gruppo al Senato regge?». Reggerà perché, come chiosava beffardo il capo dei senatori leghisti Romeo mercoledì, all’uscita dall’aula «il mutuo da pagare i senatori 5S ce l’hanno tutti».

Cosa chiede Salvini dopo la Tav? Trivelle, termovalorizzatori, cantieri su cantieri. Più naturalmente le voci in sospeso: Flat Tax, autonomie, giustizia. Faccende di cui ieri si è occupato Conte, nell’incontro con le parti sociali al quale la presenza del ministro Tria ha garantito quell’aura di ufficialità che mancava al vertice convocato la settimana scorsa dal leghista al Viminale, nel summit sulle autonomie che ha affrontato però il capitolo meno spinoso, i beni culturali. La voce sulla quale non c’è ancora uno straccio di accordo, il Fondo di perequazione, arriverà al pettine la settimana prossima.

La distensione, certamente momentanea eppure tutt’altro che scontata ancora ieri mattina, si basa su due elementi, che giocano entrambi a favore del leghista. Il primo è che a dare le carte è ora palesemente lui. La vittoria netta sulla Tav e la perdita di autorevolezza di Conte, determinata dalla mossa suicida dei 5S nell’aula del Senato, sono da questo punto di vista decisivi. Il secondo elemento sono le rassicurazioni incassate da Salvini sul fronte di una possibile maggioranza alternativa. Era stato il passaggio di Conte che sembrava alludere a questa possibilità, nel discorso di palazzo Madama, a scatenare l’ira di Salvini. Ancora ieri mattina il leghista era molto più che sprezzante nei confronti del premier: «Le sue parole mi interessano meno di zero». Poi, mentre Salvini chiacchierava con il socio ritrovato, è stato lo stesso Conte a frenare: «Che io possa andare in Parlamento a cercare una maggioranza alternativa è assolutamente fantasioso, come l’idea che io voglia formare un partito. Volo più alto».

Ma soprattutto si è pronunciato, nella cerimonia del Ventaglio, il capo dello Stato. Mattarella rispetta il suo stile, non invade campi che non gli competono. Invita anche lui a smettere di ingaggiare risse inutili, tanto più che non ci sono prove elettorali. Fissa paletti precisi sulla Ue, al di fuori della quale «non c’è futuro». Ma specifica che il Colle «non compie scelte politiche che competono alle forze in Parlamento. Il presidente è arbitro». Per Salvini, al momento, è sufficiente. Quanto durerà la tregua lo si vedrà presto.