Dopo l’ultima Leopolda a quanto pare abbiamo una “sanità Renzi”. Per chi come me sostiene che “il riformista che non c’è” è il primo problema della sanità, la curiosità è tanta. Renzi è il riformista di cui abbiamo bisogno per evitare di perdere la sanità pubblica ?
Yoram Gutgeld, il suo principale consigliere economico, e l’autore di un documento che però sulla sanità ripropone i luoghi comuni che girano da anni : migliore efficienza/efficacia degli ospedali, aumento di produttività, best practice, standardizzazione protocolli diagnostici e terapeutici, gestione delle cronicità, cura a domicilio, efficienza ecc). Queste misure sia chiaro non sono idee da buttare ma nel loro insieme costituiscono una logora linea efficentista dello status quo che nel tempo si è rivelata insufficiente a reggere le bordate del definanziamento. Yoram Gutgeld sulla sanità si rivela essere un marginalista, cioè uno che non ha idea di cosa sia la sanità, di come si riforma un sistema, preferendo accontentarsi di razionalizzarlo con quelle ricette universalistiche che gli economisti applicano a tutto, convinto di poterne ricavare un cospicuo risparmio (ben 12 mld).
Ma a sentire certe Regioni le razionalizzazioni sono state già fatte per cui a proposito di risparmi non ci sarebbe più trippa per gatti. Una tesi molto discutibile se si pensa alle tante diseconomie che ancora esistono e alle tante anti economie legate a vecchi modelli sanitari. Una tesi anche subdola se ci rammentiamo che se siamo la sanità meno costosa d’Europa non è perché abbiamo fatto efficienza ma perché fare efficienza ha significato buttare fuori dall’area del diritto milioni di cittadini . Quindi le proposte di Yoram Gutgeld/Renzi sulla sanità appaiono, rispetto alle prospettive, preoccupanti non perché tecnicamente sbagliate ma perché strategicamente inadeguate.
Per prima cosa manca un’analisi sui mutamenti che da almeno 30 anni stanno sempre più contrapponendo i diritti all’economia, quindi un’analisi sulla complessità dei rapporti tra post modernità e post welfarismo: la prima spinge un genere nuovo di domanda di salute, il secondo gli si contrappone con politiche definanzianti perché la spesa per la salute è considerata improduttiva.
La seconda cosa che manca è un bilancio sugli esiti delle politiche fatte sino ad ora e di quelle mai fatte, quindi un bilancio, in un senso e nell’altro, sulle scelte sbagliate che non sono poche e che ci hanno fatto accumulare un pesante debito culturale con il cambiamento, conducendoci fatalmente verso i tagli lineari e la crescente privatizzazione del sistema
La terza cosa che manca è una strategia nuova che rompa con le politiche sbagliate e insufficienti del passato (adattamento solo dei diritti ai vincoli finanziari, economicismo, svalutazione del lavoro, cittadini irresponsabili colpevoli di ammalarsi, governance come potere istituzionale monocratico su cose e persone, modelli di tutela ancora di stampo mutualistico). Alle proposte di Yoram Gultgeld/Renzi fa difetto è la competenza ,la conoscenza, la creatività innovativa, il progetto, in sostanza uno spirito riformatore senza il quale è difficile che nel tempo la sanità pubblica sopravviva.
La “sanità incompetente” colpisce quindi per la mancata “rottamazione” di un pensiero debole come se la sanità fosse una macchina nella quale i pezzi che si guastano anziché essere sostituiti sono a mano a mano “mangiati” dalla stessa macchina che così si riduce all’essenziale. La metafora dell’autofagia del sistema sanitario, non è casuale, essa non solo si riferisce ai servizi, agli operatori, alle prestazioni ma in modo particolare alle tutele di diritto (Lea) la cui riduzione oggi è rivendicata dalle Regioni perché ha permesso, molto più dell’efficienza, di ridurre la spesa. La sanità di Yoram Gultgeld in linea con le Regioni risponde al post welfarismo quindi al conflitto diritti/risorse mangiando i diritti.
Mi si potrebbe obiettare che nel documento di Gultgeld è ribadito il valore della sanità pubblica, ed è vero e ne sono contento perché questo permette di sperare in una ridiscussione della strategia, ma il problema è che le politiche marginaliste nel nostro caso riproposte in nome e per conto di Renzi non hanno impedito che negli anni, un quarto della spesa pubblica ricadesse sulle famiglie, che milioni di nuclei famigliari rinunciassero a curarsi a causa delle cure costose, che si massacrassero gli operatori con un sovraccarico di lavoro causato dal blocco del turn over, che si trasformassero le liste di attesa in strumenti di selezione sociale nelle quali parcheggiare la società con bassi redditi, che ci si imponesse uno scriteriato TitoloV della Costituzione.
Per privatizzare la sanità pubblica basta volare basso e avere pazienza. Nel tempo essa si auto divorerà. E se questa è l’aria, se non si apre davvero una discussione su cosa sia meglio fare, il problema del “riformista che non c’è”, non sarà certo Renzi a risolvercelo.