Sull’Appennino terremotato già sono arrivate le prime gelate e le migliaia di persone che vivono nelle casette provvisorie si preparano ad affrontare il terzo inverno con gli stessi problemi di sempre. Anzi, forse più assurdi di sempre: le Sae, consegnate quasi tutte con mesi di ritardo sulla tabella di marcia, stanno andando a male. Letteralmente: pareti di cartongesso che si staccano, boiler che esplodono, muffa, in alcuni casi addirittura funghi. A Muccia ( Macerata), i casi accertati, fin qui, sono 30, ma il numero è destinato ad aumentare ora che stanno partendo i controlli.

COM’È POSSIBILE che si sia arrivati a questo punto? La lentezza dei lavori era stata giustificata proprio con la grande cura con cui si stava operando per dare a tutti una soluzione confortevole. Eppure di confortevole nelle casette non c’è niente, anzi, in molti sono stati costretti ad andare via.
Per capire cosa sia successo bisogna tornare all’agosto del 2015, quando la Consip, la centrale d’acquisto del Tesoro, riuscì ad aggiudicare la fornitura di 18mila casette per un valore massimo di un miliardo e 188 milioni di euro. Due lotti su tre della gara furono vinti dal Cns, colosso delle cooperative che raggruppa aziende come Cogeco 7 srl, Modulcasa Line spa, Ames spa, Nac system spa, Fae industria alloggi prefabbricati spa e Consorzio stabile Arcale. Una parte di queste, poi, si è aggiudicata il terzo lotto.

LA PARTICOLARITÀ, per così dire, è che due anni prima, la Consip aveva provato a piazzare una fornitura di 12mila casette per 684 milioni di euro, ma l’asta andò deserta. Non serve prendere in mano la calcolatrice per realizzare che due anni dopo la fornitura di casette è stata aumentata di un terzo mentre il costo è raddoppiato. Le ditte, in sostanza, sono riuscite a ottenere un bel margine di guadagno.

 

 

 

QUANDO nel 2016 con il terremoto arrivò l’emergenza, la macchina si mise in moto per costruire i villaggi di casette in giro per il cratere, con costi talvolta esorbitanti, tanto che ancora è impossibile calcolare se i limiti di spesa siano stati sforati (come probabile) o meno.
«In alcuni casi – spiega Daniel Taddei, segretario della Cgil di Macerata – il costo è arrivato a cinquemila euro al metro quadrato». E perché, nonostante si sia speso così tanto, le Sae già cascano a pezzi? La risposta, anche qui, arriva da lontano. Un anno fa esatto la Fillea Cgil guidata da Massimo De Luca andò in procura a presentare un esposto sulle condizioni di lavoro nei cantieri del cratere. «Avevamo trovato di tutto», racconta ancora Taddei. Qualche esempio: «Lavoratori in nero, ponteggi non a norma, nessun dispositivo di sicurezza, casi di caporalato, addirittura un clandestino che si è autodenunciato». Gli operai hanno raccontato prima ai sindacalisti e poi ai carabinieri le proprie condizioni di lavoro. «C’era una grande pressione – dice Taddei -, il governo e la Regione spingevano perché le cose venissero fatte in fretta. L’unica cosa importante era consegnare tutto nel minor tempo possibile. E allora succedeva che le tavole di legno e il cartongesso venissero stoccati all’aperto, esposti alle intemperie, oppure che su un’asse, invece di metterci cinquanta chiodi, ne venivano messi dieci». La procura di Macerata sta indagando anche sui meccanismi degli appalti: artifici burocratici come le reti d’impresa e i consorzi hanno consentito a diverse aziende non iscritte all’anagrafe antimafia della prefettura di lavorare senza problemi. Il caso più famoso è quello della Doge, non iscritta ma che ha ugualmente installato quasi tutti i boiler, che poi non hanno funzionato o che sono esplosi senza preavviso.

«I tempi infiniti di consegna, i costi di realizzazione, le aree individuate per la loro edificazione, i materiali e le tecniche costruttive, la mancanza di spazi aggregativi nei nuovi centri, hanno fin da subito fatto rilevare come la questione delle casette tocchi criticità che fanno emergere responsabilità a tutti i livelli», sostengono quelli della rete Terre in moto Marche. «Ci chiediamo anche – proseguono gli attivisti – se sia proprio necessario da parte dei tecnici fare domande del tipo “Quante docce al giorno fate?” oppure “Ma per caso per lavare i pavimenti gettate ingenti quantità d’acqua a terra?” Come se non fosse evidente che i problemi non sono dovuti ad errori degli occupanti».

E SIAMO solo all’inizio, perché gli interventi fatti sin qui sarebbero quelli più facili: la partita della ricostruzione non è ancora cominciata – e chissà se comincerà mai –, visto che soltanto lo 0.5% degli edifici inagibili è stato riparato. La chiosa è di Taddei della Cgil: «In queste condizioni apriranno almeno quarantamila cantieri. Il futuro ci preoccupa non poco».