La «prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» pesa ancora, due anni e mezzo dopo, come un macigno sulla credibilità dello Stato italiano, come dimostrano i dati dell’Osservatorio Antigone pubblicati ieri nel X Rapporto nazionale sulle carceri. In uno spazio adeguato ad ospitare al massimo 100 detenuti ce ne sono 173; uno su quattro è tossicodipendente e uno su cinque è straniero. E a lavorare è solo un recluso su sei. Condizioni disumane e degradanti che producono altro crimine, con la recidiva che schizza al 57%. E morte: dall’inizio dell’anno sono decedute in carcere 99 persone di cui 47 suicidi (23 stranieri) e 28 per cause ancora da accertare. Come nel caso di Alfredo Liotta, morto in una cella del carcere di Cavadonna a Siracusa dopo aver perso 40 chili di peso in tre mesi. «Nell’indifferenza generale», denuncia Antigone. Da quel primo monito di Giorgio Napolitano, dunque, poco o nulla è cambiato, tranne un paio di decreti chiamati erroneamente «svuotacarcere» e le ultime – più sostanziali – norme varate dal consiglio dei ministri all’inizio della settimana. E tranne il tempo che ormai volge al termine per l’Italia se vuole evitare di affogare nelle sanzioni europee che potrebbero scattare dal 28 maggio prossimo, termine ultimo imposto dalla Corte Edu di Strasburgo a causa del trattamento riservato nel nostro Paese alle persone recluse.

E come nell’estate del 2011, Marco Pannella, da cui il Capo dello Stato attinse allora ispirazione per lanciare il suo primo grido d’allarme sulle condizioni detentive, da qualche giorno è tornato in sciopero della fame e della sete. Tra meno di una settimana sarà pure di nuovo alla testa della Terza Marcia di Natale per l’amnistia e l’indulto indetta dai Radicali: un appuntamento tutt’altro che rituale, molto partecipato anche quest’anno da esponenti politici di tutti gli schieramenti, tranne che da leghisti e grillini, ma che pure non riesce a bucare l’indifferenza politica, e non solo per il «boicottaggio mediatico» lamentato da Pannella. Eppure la presidente della Camera, Laura Boldrini, è ottimista: «Il presidente Napolitano ha fatto un messaggio molto chiaro alle Camere sulla situazione delle carceri. C’è stato un decreto, ci sono dei disegni di legge, credo che arriveremo presto a segnali e fatti concreti», ha detto ieri rispondendo a chi le chiedeva della possibilità di approvare per tempo un provvedimento di amnistia.

In effetti il decreto legge approvato martedì scorso dal Cdm contiene alcune interessanti novità che vanno nella direzione delle riforme strutturali richieste dalla Corte dei diritti umani. Prima tra tutti l’introduzione del collegio del Garante nazionale dei detenuti, una figura richiesta da anni e che ci porta più vicini all’Europa anche se al momento non è prevista copertura finanziaria e rimane qualche dubbio sul fatto che a nominare i suoi componenti sia lo stesso Consiglio dei ministri. Importante è anche la piccola modifica alla legge Fini-Giovanardi che trasforma lo spaccio di lieve entità da circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, punito perciò con pene inferiori (la detenzione massima passa da 6 a 5 anni) e di conseguenza l’immediato affidamento in prova per motivi terapeutici. Lo sconto di pena per la liberazione anticipata, inoltre, passa da 45 a 75 giorni a semestre, ma senza automatismi: a decidere, caso per caso, sarà sempre il magistrato di sorveglianza. Infine, molto rilevante è il provvedimento che permette l’avvio della procedura di identificazione dei detenuti stranieri direttamente in carcere, evitando così l’illegale reclusione degli ex detenuti nei Cie. In questo modo si accelerano anche i provvedimenti di espulsione dei cittadini extracomunitari. E si allunga l’elenco dei reati per cui è previsto il rimpatrio.

Misure che però, nell’insieme, sono ritenute insufficienti dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe: «Non chiamateli svuota-carcere – dice il segretario Donato Capece – Saranno infatti pochissimi i detenuti in possesso dei requisiti necessari per uscire dai penitenziari, meno di 3 mila: un numero assolutamente inconsistente rispetto agli oltre 64 mila detenuti oggi presenti in strutture costruite per ospitarne circa 40 mila (in realtà sono 37 mila, secondo i dati di Antigone riconosciuti anche dalla Guardasigilli Annamaria Cancellieri, ndr). E la media degli ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari è circa 1.500 persone». E se il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio definitivo, ricorda Antigone che il 26,9% è recluso per una condanna inferiore a 3 anni. Un dato che sale al 37,9% se si guarda ai soli stranieri, e che diventa abnorme per le donne: il 65,4%.

Davanti a questi numeri, il motivo per cui bisogna ancora aspettare per un provvedimento di amnistia e indulto– a parte il no di Renzi –è uno dei tanti imperscrutabili misteri italiani.