Nove persone per rappresentarne altre due milioni. Tanti quanti sono i detenuti nelle prigioni americane, il 25 % della popolazione carceraria nel mondo. Nove persone per tredici testi. Li ha raccolti Zoe Boekbinder, una giovane cantautrice, nata in Canada ma vissuta da piccola coi genitori in un caravan lungo le highway statunitensi, prima di fermarsi in Louisiana.Ha girato ovunque, è stata per un po’ anche in California. Qui, mentre suonava col fratello nelle prime band, sei anni fa, ha deciso di fare la volontaria alla New Folsom Prison, a Sacramento. Il nuovo penitenziario bianco ed anonimo che sorge proprio accanto a quello immortalato da Johnny Cash.

Ha fatto la volontaria, ha suonato in carcere, ha insegnato ai detenuti – è un istituto solo maschile – a scrivere poesie e canzoni. La direzione però le ha sempre negato il permesso di portare un registratore, ha sempre negato il permesso di poter incidere qualcosa dentro il New Folsom Prison.

Lei non si è persa d’animo. Ha raccolto i testi scritti da quelle nove persone, quelli che frequentavano il suo corso. Poi, fuori, ha messo insieme un vero e proprio collettivo di musicisti, The Prison Music Project, ed ha trovato una produttrice: la sua amica Ani DiFranco.

Sei anni di lavoro, e all’inizio di giugno la Righteous Babe Records – appunto la casa discografica della DiFranco – ha fatto uscire “Long Time Gone”.
Tredici brani, perché alcuni detenuti hanno scritto più di un testo. Un album certo non omogeneo, proprio perché quelle parole – e quei suoni – spaziano dai sogni alle denunce, dai desideri alla resa. Dalla poesia alla rabbia. Tanta rabbia, soprattutto rabbia; per un sistema che “manda dietro le sbarre chi non ha nulla, per un sistema che ti costringe ad arrangiarti per sopravvivere e poi ti rende schiavo”.

C’è così il brano rappato da Abram Banks, che potrebbe essere un manifesto delle rivolte di questi giorni; o c’è la rassegnazione di “Monster”, cantata dalla stessa Boekbinder, sopra un tappeto di chitarre e violini che acuisce l’atmosfera cupa. C’è il blues del Delta, “Coffin Song”, interpretato da Doc Gattis. E c’è l’urlo disperato di “I Can’t Breathe” – sì, si chiama proprio così il brano ed è stato scritto dopo l’assassinio di Eric Garner -: è recitato, non cantato. Recitato da Sincere e Baby Shell Dog, gli speudonimi di due detenuti che nel frattempo sono riusciti ad uscire dall’inferno. Una poesia ritmata da un battito monocorde e da un sibilo in sottofondo, che diventa lamento.

E ancora, fra gli altri, c’è l’atmosfera rarefatta di “Nowhere But Barstow and Prison” interpretata da Ani DiFranco. E c’è poi “Midnight Deal”, forse il brano più intrigante: dove le chitarre elettriche, guidate dalla voce “sporca” di Zoe Boekbinder, diventano via via più incalzanti. Dirompenti. Taglienti. Fin quasi a segare quelle sbarre.

Il ricavato delle vendite di “Long Time Gone” andrà interamente alle associazioni a sostegno dei carcerati.