Avremo un parlamento «più snello» gioisce il ministro Fraccaro. Giusto in tempo per la prova costume, aggiunge Di Maio: «Con un cronoprogramma entro gli inizi di agosto il taglio dei parlamentari sarà legge definitivamente». Ieri mattina alla camera si è chiuso il primo giro della riforma costituzionale, con 310 voti a favore. Molti meno di quelli teoricamente disponibili per la maggioranza che in questo caso è allargata a Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Il “cronoprogramma” di Di Maio è semplicemente la Costituzione. L’articolo 138, quello che regola la procedura di revisione, prevede una pausa di riflessione «non minore di tre mesi» tra la prima e la seconda deliberazione. Al senato la prima c’è stata all’inizio di febbraio e così la seconda potrebbe tenersi già subito, non fosse che siamo ormai arrivati alle elezioni europee e la Lega, anche sulla riforma, vuole decidere dopo come comportarsi. Alla camera i tre mesi a partire da oggi scadono invece il 10 agosto, in genere il parlamento in quella data è chiuso ma Di Maio può sognare un trionfo immediatamente prima delle ferie.

È lo stesso Di Maio che – quando questo disegno di legge costituzionale fu presentato – volle dare per certa l’approvazione definitiva entro la primavera. Un primo «cronoprogramma» che non è stato rispettato. Il problema principale per i 5 Stelle però non sono i tempi, sono i numeri. La terza e quarta lettura di una legge costituzionale prevedono infatti, obbligatoriamente, la maggioranza assoluta dei componenti (316 voti) che ieri non è stata raggiunta (per 6 voti) malgrado l’appoggio di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Appoggio fantasma. Dei 104 voti di Forza Italia ne sono arrivati appena 29, persino il deputato Sisto che dopo aver seppellito la legge di critiche ha annunciato il sì a nome del gruppo berlusconiano – «oggi votiamo a favore, domani chissà» – in realtà non ha votato, essendo formalmente in missione. Un po’ meglio è andata con Fratelli d’Italia: 18 sì su 32 deputati. Ma grossi buchi si sono aperti anche nel gruppo della Lega (12 assenti ingiustificati) e addirittura in quello 5 Stelle (13 assenti e ben 32 in missione). Così stando le cose, è fuori portata la maggioranza qualificata dei due terzi che impedirebbe il referendum confermativo, in genere convocato a sei mesi di distanza dall’ultima approvazione di una legge costituzionale. Di Maio può ragionevolmente pensare di vincere quel referendum – «volete voi tagliare di oltre un terzo la camera e il senato?» – a mani basse, ma certo non può dire che ad agosto la riforma «sarà legge definitivamente».

Ieri intanto i 5 Stelle avevano programmato un festeggiamento in piazza Montecitorio dopo il voto finale, le scenografie di cartone erano già pronte, poi hanno deciso di annullarlo. Sempre Di Maio non ha mancato però di attaccare subito il Pd: «Tagliamo 345 poltrone per un totale di 500 milioni di risparmio a legislatura e loro ovviamente votano contro». Un modo per confermare l’analisi del deputato del Pd Ceccanti, che in dichiarazione di voto ha definito la riforma «solo uno spot elettorale». Il risparmio è tutto da dimostrare – stime più realistiche lo dimezzano – mentre la pesante penalizzazione della rappresentanza è certa. «Al senato in nove regioni – ha calcolato il capogruppo di Leu Fornaro – la soglia di sbarramento implicita supererà il 25% stabilendo il record mondiale nei sistemi elettorali proporzionali».

Difetti amplificati dall’approvazione, che ci sarà lunedì e questa volta definitivamente trattandosi di legge ordinaria, della nuova legge elettorale. Che è poi l’attuale Rosatellum (i 5 Stelle lo contestavano) applicato ai nuovi numeri di deputati e senatori. Tra i tanti difetti di questo nuovo/vecchio sistema elettorale, interessante quello denunciato in aula dal rappresentante Svp Schullian: in Trentino Alto Adige saranno penalizzati di più i collegi uninominali – in modo che nella provincia di Bolzano la minoranza di lingua tedesca rischia di perdere i tradizionali due seggi – per preservare i collegi plurinominali. E allora i 5 Stelle, che a livello regionale sono la terza forza dopo Svp e Lega, manterranno un seggio proporzionale. Proprio quello che nelle ultime due elezioni è andato al ministro Fraccaro.