Come si legge programmaticamente nell’Introduzione di Federico Sollazzo, curatore de Transizioni. filosofia e cambiamento (Goware, pp. 155, euro 11,99), due sono i caratteri di fondo che legano i nove saggi del volume: l’essere giovani autori; il concentrarsi sulla tematica del cambiamento. E si sa quanto la questione del divenire sia da sempre centrale nella storia della filosofia.

LA VISIONE che del lavoro filosofico hanno gli otto autori è felicemente lontana da rigidità da pensatoio o da biblioteca. Lo prova la bipartizione del testo in teoretico e in sociale. Entrambe intitolate significativamente Attraversamenti, le due parti mostrano l’indispensabilità di una costruzione storica del pensiero che, per l’appunto, attraversi idee, culture, tempi, divisioni ineludibili. Inoltre, in questa raccolta di scritti la concezione filosofica è marcatamente transdisciplinare, capace cioè non solo di confrontarsi con altri saperi, ma di traversarne intere regioni.

LUCA BALDASSARRE pone l’opera d’arte, quasi dilaniata fra ascesi e materialismo, al centro della concezione estetica di Theodor Adorno. Se il pensiero, come l’arte, s’immerge nel reale rimane «disinnescato», neutralizzato; se invece si rifugia nella mera sfera teoretica si riduce all’impotenza insignificante. Nella società massificata il mormorio diffuso recita che da un’opera d’arte ««si sa già cosa aspettarsi»»: e nel pronunciare questa frase ecco che l’aura dell’opera (tanto cara a Walter Benjamin) si putrefà all’istante.

Sulla «breccia della transizione» indaga Valeria Ferraretto, concentrandosi su figure come l’individuo, istituzioni come la famiglia, sillogi quali la libertà. In una società di transizione non può che esserlo anche l’individuo che rischia ogni istante la liquidazione – volta a volta ad opera del capitalismo, dei fascismi europei, dello stalinismo.

IN TEMA DI SCAMBI proficui tra volti diversi del sapere il lavoro di Francesco Giacomantonio illumina con esemplare chiarezza l’opera di Jürgen Habermas, che si muove tanto nella critica della scienza come ideologia, quanto sul lato sociale e sociologico indagando i rapporti teoria/praxis nell’epoca del tardo capitalismo.

Federico Sollazzo pone al centro il tema dell’«inquadramento» intendendo quella razionalità di tipo strumentale magistralmente indagata dal Max Horkheimer di Eclissi della ragione (1947). Il «mondo amministrato» rinchiude tutti nella «gabbia d’acciaio» (ed ecco riuniti in un colpo solo Adorno, Horkheimer e Weber).

HEIDEGGER, MARCUSE e Pasolini pongono in modo diverso il tema del cambiamento sociale/antropologico/culturale. Se il desiderio permane nell’homo oeconomicus del capitalismo maturo significa che il trascendimento permane ma è ripiegato sull’oggi.

Sollazzo conclude richiamando a gran voce una visione in cui, biblicamente, ««molti furono chiamati, ma pochi furono scelti»»; non certo nel senso di un elitarismo ribellistico o di un partito novello Principe à la Gramsci. Occorre spostare: ««progressivamente, verso una simile sensibilità critica una porzione possibile di persone»». Momento fondamentale di questo progetto di «de-inquadramento» è la costruzione contemporanea di una strategia di teoria e prassi.