Lunedì, a Roma, si è celebrata la trentasettesima edizione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, la giornata che ogni anno dal 1981 celebra la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per il Cibo e l’Agricoltura. Tema di quest’anno è stato «Un mondo senza fame entro il 2030. Le nostre azioni sono il nostro futuro». Questa ricorrenza è stata scelta anche da Slow Food per avviare la propria campagna Food for Change, dedicata alle buone pratiche che ciascuno di noi individualmente può mettere in pratica per mettere un freno al cambiamento climatico. Le due cose possono apparire sconnesse, eppure non lo sono. I dati pubblicati proprio dalla FAO, insieme con le altre organizzazioni internazionali che si occupano di cibo, ci dicono infatti che la fame e la malnutrizione sono in leggero ma preoccupante aumento. Erano diversi anni che i dati erano in costante miglioramento, e questa inversione di tendenza segna una svolta quanto mai preoccupante anche perché, tra le sue cause, figura in maniera sempre più incisiva il cambiamento climatico. Ecco l’anello di congiunzione.

È ormai evidentcome le alterazioni climatiche dovute all’azione umana stiano modificando radicalmente la possibilità di produrre il cibo necessario a sfamare una popolazione mondiale in crescita. Enormi aree del pianeta si stanno desertificando, mentre fenomeni atmosferici sempre più dirompenti interessano zone della Terra che mai ne erano state coinvolte. È evidente che un problema di questo tipo richieda una risposta politica globale, e la mancanza di efficacia che le ripetute conferenze sul clima stanno dimostrando è deprimente, al pari delle affermazioni di Trump in Usa, di Bolsonaro in Brasile e di tutti coloro, ancora troppi, che in ogni angolo del mondo affermano che non rispetteranno gli impegni internazionali per ridurre le emissioni. D’altra parte, però, è altrettanto vero che a livello individuale noi possiamo giocare un ruolo con i nostri comportamenti. In questo il cibo è uno strumento perfetto per agire nel nostro quotidiano. La produzione e il consumo di cibo sono la principale fonte di gas serra, ma non è lo stesso per tutti i cibi e per tutte le tecniche di produzione.

Uno studio recentemente effettuato da Slow Food in collaborazione con Indaco2, uno spin off dell’Università di Siena, ha confrontato l’impronta ecologica di diverse produzioni di cibo, mettendo in relazione la produzione industriale con quella artigianale ed estensiva. Questo lavoro ha dimostrato che la produzione di piccola scala immette in atmosfera almeno il 30% in meno rispetto al corrispettivo industriale, con picchi dell’80% in meno nel caso del formaggio di latte vaccino o delle mele. Il dato è significativo, perché per la prima volta una misurazione scientifica mette nero su bianco il fatto che c’è una grande differenza nel ciclo produttivo e che dunque le nostre scelte in fatto di cibo possono avere un impatto reale. Ed è questa la bella notizia in un momento storico in cui il futuro appare incerto: in quanto cittadini giochiamo un ruolo che non è di secondo piano nel tracciare la strada della sostenibilità ambientale. #Foodforchange ci dice questo. Mangiare meno carne, sostituire proteine animali con legumi, consumare cibo locale e stagionale, sono strumenti che ciascuno di noi può mettere in pratica da subito. In questo modo, parlare di fame zero sarà un obiettivo davvero alla portata.