I Gestioni «facili», scelte scellerate, capovolgimenti improvvisi, leggi cucite addosso, elusioni palesi delle norme in materia di salute e inquinamento. Uno «stato di eccezione» perenne, in nome del quale tutto è concesso. Ilva, lavoro e bugie contro salute e verità (Altrimedia, 240 p.) è un’accurata testimonianza scritta da Maurizio Rizzo Striano, avvocato, presidente della Commissione nazionale Ippc (Integrated Pollution Prevention and Control) e commissario referente per l’Ilva di Taranto con il secondo governo Prodi, che fotografa uno dei più grandi scandali sanitari e ambientali italiani.

RIZZO STRIANO CI RACCONTA gli ultimi, disastrosi, 15 anni del più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Spiega chiaramente come l’affaire Ilva sia stato una vera e propria scommessa di un gruppo industriale privato prima, il gruppo Riva, e dello Stato poi. Una scommessa vinta per molti anni: quella di eludere una direttiva fondamentale dell’Unione europea del 1996, che stabiliva che gli impianti Ilva erano da considerarsi così obsoleti da non avere alcuna possibilità di essere resi conformi alla legge. Esattamente quanto confermato oggi dal Tar, che ha intimato lo spegnimento dell’area a caldo per pericolo ambientale «permanente e immanente».

QUALCHE DATO. NEL 2006, le emissioni convogliate dell’Ilva sono pari a 30 mila tonnellate l’anno: polveri sottili, anidride solforosa, acido cloridrico e diossido di azoto. La quantità di diossina emessa dall’intera area è pari al 50% di tutta la diossina emessa in Italia e uguale a quella di tutte le acciaierie funzionanti d’Europa insieme.

RIGUARDO ALLE EMISSIONI diffuse, quelle che fuggono dagli impianti, ci sono 3 mila tonnellate di polveri, 130 tonnellate di acido solfidrico e 9 di Ipa, fra cui il micidiale benzo(a)pirene. Per non parlare dell’inquinamento delle falde acquifere, degli scarichi in mare e delle polveri dei minerali. Quando tirava vento forte, i bambini dovevano stare a casa da scuola e quella polverina ricopriva tutto, anche i vestiti negli armadi.

TUTTI I REATI PER CUI SONO piovute sentenze di condanna irrevocabili. E che, però, non hanno cambiato nulla. Perché per quanto potesse essere imbrigliata con sanzioni e regolamentazioni, l’acciaieria è così appiccicata alla città che «sarebbe pur sempre rimasta una brutta bestia che avrebbe continuato a causare un rilevante danno sanitario».

LA COMPROMISSIONE dell’ambiente che caratterizza Taranto, e in particolare i maledetti quartieri Tamburi, Borghi e Paolo VI, ha generato un impatto disastroso sulla salute. Anche tra i bambini: una scia di morte silenziosa tra piccoli e piccolissimi. Ma l’Ilva continua a inquinare.

Il libro ci porta nelle stanze del potere e ci offre una mole impressionante di dati inediti. Il ruolo dell’allora ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, cui va il merito di aver dato un impulso alla ricerca della verità. I lauti finanziamenti, sotto forma di contributi elettorali, della famiglia Riva a Forza Italia (245 mila euro), ma anche al nemico di sempre Pierluigi Bersani (98 mila), il quale aveva già intascato 110 mila euro da Federacciai, di cui erano soci i Riva stessi e l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: un patto con i maggiori partiti nazionali del tempo (Fi e Ds), insomma.

IL CAMBIO DI ROTTA REPENTINO di Stefania Prestigiacomo, approdata all’Ambiente con Berlusconi; la cordata salva-Alitalia voluta dal Cavaliere in cui comparivano ancora i Riva; nomine di personaggi con curricula giudiziari invidiabili, tra condanne per falso in bilancio, ricettazione e bancarotta, come Bonaventura Lamacchia.

E ANCORA, L’INCREDIBILE accordo in cui si fissava che, per tutelare il lavoro di circa 20 mila persone, non si potevano imporre le doverose prescrizioni a tutela della salute e dell’ambiente. Questo documento recava anche la firma dell’allora presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, «piegato – scrive Rizzo Striano – alla visione sindacalista, identica su Ilva a quella confindustriale». La sentenza della Corte costituzionale del 15 maggio 2013, che stabilisce il principio della lesione del diritto alla salute in nome dell’occupazione. Le decisioni «gravi e inaspettate» del governo Letta, l’arrivo di Matteo Renzi e gli ultimi giorni del governo Conte.