«È normale avere paura, è umano. Ma io lo dico alle donne che incontro: se siamo unite, se non siamo più sole, la paura va via». Sara Moutmir, 21 anni, è nata a Casablanca, in Marocco, ma ha fatto le scuole in Italia. Vive a Salerno, dove da due anni lavora per la Flai Cgil e fa sindacato di strada nei campi della Piana del Sele. È la mediatrice culturale perfetta, perché parla l’italiano come una madrelingua ma insieme conosce l’arabo. «Tante braccianti del Nord Africa non conoscono l’italiano: io prima di tutto sono qui per informarle sui loro diritti», ci spiega.

Come mai una ragazza così giovane si appassiona all’attività sindacale?

Io sono arrivata in Italia nel 2001, insieme a mia madre, grazie a un ricongiungimento familiare con mio padre che già da qualche anno lavorava qui come negoziante. Mia madre ha subito trovato lavoro come bracciante, per fortuna in un’azienda in regola, tutto a posto. Ma negli anni successivi, quando sono cresciuta, sono stata sempre io ad accompagnarla al sindacato per prendere informazioni, grazie al fatto che via via comprendevo e parlavo l’italiano meglio di lei. Così ho capito quanto sia prezioso conoscere le leggi, i propri diritti, anche perché poi ho aiutato altre sue amiche.

In Campania ci sono molte braccianti, sia italiane che immigrate. Sono più fragili rispetto agli uomini?

Sicuramente sì, anche perché spesso sono più esposte rispetto alle prepotenze, a volte anche alle molestie, degli uomini: degli imprenditori come dei caporali. Ma poi devono fare i salti mortali per tenere insieme lavoro e figli: le lavoratrici extracomunitarie li lasciano nel Paese d’origine, più tranquilli con i nonni, e possono usufruire degli assegni familiari, mentre quelle comunitarie sono costrette a tenerli qui per poter aver diritto a un maggiore assegno di disoccupazione.

E una sindacalista donna, per giunta molto giovane, come viene vista dagli imprenditori o dai caporali? È più difficile essere prese sul serio?

Devo dire che finora non ho avuto difficoltà a rapportarmi con le aziende o con i caporali: certo all’inizio ti guardano con curiosità, ma poi quando vedono che conosci le leggi e i contratti cercano di fare buon viso a cattivo gioco. Più difficoltà, devo dire, le trovo rispetto agli uomini della mia comunità di origine: io stessa sono musulmana, ma per tanti uomini musulmani non è accettabile prendere direttive, o anche solo ricevere consigli, da una donna su tematiche che riguardano il lavoro e più in generale la vita esterna alla famiglia. Sì, in questi casi faccio più fatica ad affermare le mie ragioni rispetto a un sindacalista uomo.

Cosa deve fare un sindacalista di strada quando incontra un bracciante alle rotonde dei caporali o in un campo?

Il primo dovere è far sapere che esiste qualcosa di diverso rispetto a quello che loro credono essere l’unica realtà: la paga in nero che ti impone l’impresa, le condizioni bestiali di lavoro. No: esiste la paga giornaliera di 52 euro per 6 ore, alternativa ai 25-30 euro per 12 ore. Esistono le pause, il diritto a un trasporto legale, a una casa vera. Essenziale è informare, dare il numero di telefono e l’indirizzo del sindacato: dobbiamo essere noi ad avvicinarci, perché loro sono più deboli e hanno paura.