Contratti disdetti, atleti epurati, altri morti sotto le armi. La condanna dello sport all’invasione russa in Ucraina è unanime. Il colosso tedesco Adidas ha rescisso l’accordo con la federcalcio russa, non esibirà più il suo logo sulla maglia della nazionale russa, sospesa da ogni evento internazionale, decisione della Fifa arrivata 48 ore fa. La scelta di Adidas incide sui conti: dalla Russia arriva circa il 3% del fatturato annuo. Hanno sospeso ogni rapporto con la Russia altri marchi famosi come Jaguar.

Incide invece sulla coscienza collettiva il racconto di Gregorio Paltrinieri, simbolo del nuoto italiano, sulle sue conversazioni quotidiane con Mikhailo Romanchuk, il grande rivale e amico che si trova a Kiev, tra bombe e allarmi antiaerei: «Gli ho detto mille volte di venire qui, a casa mia, di allenarsi in Italia, ma lui mi ha detto sempre no, anche ieri sera, I would fight to the end, voglio combattere fino alla fine – ha raccontato Paltrinieri -. Mi sono chiesto mille volte che cosa farei nella sua situazione. Andare via? Combattere? Non lo so. Sento il suo grande senso di appartenenza. Spero solo che l’incubo finisca il prima possibile».

Intanto la guerra ha portato via Yevhen Malyshev, 20enne ucraino del biathlon, morto durante i bombardamenti. Stava svolgendo il servizio militare. «Gli eroi non muoiono mai» hanno scritto sui social i suoi ex compagni di squadra. Vittime del conflitto anche un paio di calciatori, il 21enne Vitalii Sapylo del Karpaty e Dmytro Martynenko dell’Hostomel, il primo in battaglia a Kiev, il secondo ucciso da una bomba sulla sua abitazione. Una situazione insostenibile che ha portato alle dimissioni alla Lokomotiv Mosca, storico club della prima divisione russa, del tecnico tedesco Markus Gisdol: «Non posso continuare a seguire la mia vocazione in un paese il cui leader è responsabile di una guerra di aggressione nel cuore dell’Europa. Non posso stare su un campo di allenamento di Mosca, allenare i giocatori e pretendere professionalità quando a pochi chilometri si danno ordini che portano grandi sofferenze a un intero popolo».

A Ekaterinburg (Siberia) è stato invece l’Ural a rescindere il contratto del portiere ucraino, con cittadinanza russa, Godzyur. A Bergamo il centrocampista ucraino dell’Atalanta Ruslan Malinovskij ha aperto un’asta di maglie dei compagni di squadra, ricavato destinato a cibo e medicine per i rifugiati di guerra. L’aria tesa, ammorbante della guerra avvolge anche il tennis, la federazione ucraina ha chiesto all’Itf che i russi siano esclusi dai tornei, compreso il numero uno al mondo Daniil Medvedev, che nei giorni scorsi si è speso pubblicamente per la fine del conflitto. E ci sono evoluzioni anche al capitolo sanzioni: finisce nella lista degli oligarchi con il patrimonio confiscato dall’Ue anche Alisher Usmanov, ex azionista dell’Arsenal, vicino – sino a qualche giorno fa – all’acquisto dell’Everton, Premier League. Usmanov ha lasciato la presidenza della federazione internazionale di scherma (Fie), sanzione da lui definita ingiusta, promettendo di impugnare quanto stabilito dall’Unione Europea.

La federazione mondiale di taekwondo ha ritirato la cintura nera in onore di Putin conferita nel 2013, per il leader russo c’è stata la revoca dell’ordine Fina a lui assegnata, mentre i nuotatori russi e bielorussi potranno gareggiare solo come atleti neutrali o in squadre neutrali. Invece solo al sesto giorno di guerra arriva la decisione della federvolley mondiale che si accoda alla richiesta del Comitato olimpico internazionale (Cio) sull’assenza forzata di russi e bielorussi nelle competizioni internazionali, definita «una discriminazione etnica» degli stessi atleti dei due paesi, che si sono assentati all’incontro tra la dirigenza del Cio e le commissioni atleti dei comitati olimpici internazionali.