Ieri il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede agli Stati membri di introdurre un embargo militare contro l’Arabia saudita, a seguito dell’omicidio Khashoggi. Non è la prima volta: il 4 ottobre gli europarlamentari avevano fatto lo stesso, in riferimento all’offensiva di Riyadh contro lo Yemen. Identica risoluzione era stata votata nel novembre 2017.

Appelli che cadono nel vuoto, mentre in Yemen si continua a morire di bombe saudite. Ieri, per attenersi alla più stretta attualità, 21 yemeniti sono stati uccisi in un bombardamento aereo saudita. Target dell’operazione è stato il mercato della frutta e la verdura di Bayt al-Faqih, cittadina 70 chilometri a sud di Hodeidah, la città sul Mar Rosso da mesi teatro della controffensiva anti-Houthi della coalizione a guida saudita.

Secondo quanto raccontato dai medici, ci sono anche 12 feriti. Ad essere centrata è stata una piccola azienda di imballaggio delle verdure, nel quartiere di al-Masoudi: le vittime sono abitanti della zona, tra cui due bambini, e lavoratori dell’azienda. Il 14 ottobre le vittime erano state 17: un raid aveva colpito due autobus su cui un gruppo di sfollati tentava di salire per fuggire dalla battaglia di Hodeidah. E il 18 settembre 18 pescatori sono stati uccisi dalle bombe piovute sul loro piccolo peschereccio, nel porto di al-Khoukha.

Con precisione chirurgica, come quella applicata nell’individuare i target, il portavoce della coalizione, Turki al-Malki, ha fatto quello che fa quasi sempre: annunciato un’inchiesta su ciò che definisce un «incidente» e parlato di «errori» che ogni tanto possono capitare. Errori tanto frequenti (i jet sauditi colpiscono da tre anni e mezzo mercati, campi profughi, case, scuole, cliniche, scuolabus, hotel) da disegnare una precisa strategia militare e politica: la devastazione delle infrastrutture e dei servizi del paese più povero del Golfo e la distruzione del suo tessuto sociale ed economico, ormai collassato da tempo.

Lo dice, anche qui con cadenza regolare, l’Onu. L’appello più recente è di martedì: il responsabile delle attività umanitarie delle Nazioni unite in Yemen, Mark Lowcock, parlando al Consiglio di Sicurezza, ha reiterato l’allarme «chiaro e presente di un’imminente ed enorme carestia». Qualcosa, ha detto, «molto più grande di quello che qualsiasi professionista in questo settore abbia mai visto».

Perché di fame in Yemen si muore: due persone ogni 10mila perdono la vita ogni giorno per denutrizione. Sono 22 milioni, su una popolazione di 28, i civili che non hanno accesso regolare a cibo e acqua non contaminata e che sopravviveranno solo con aiuti urgenti. Aiuti che arrivano a singhiozzo a causa del blocco aereo e navale imposto nel 2015 dall’Arabia saudita.