Dalla stanzetta di un bambino degli anni Ottanta a un centro commerciale di oggi, dal deserto disseminato di trivelle del Texas a un termovalorizzatore nella Svizzera tedesca: Beautiful Things – opera prima del compositore e fotografo Giorgio Ferrero (codiretta con Federico Biasin) – attraversa l’intero ciclo di produzione, distribuzione e smaltimento delle «belle cose» del titolo. Sono gli oggetti di uso quotidiano, dai giocattoli per bambini di trent’anni fa come il grillo parlante alle lavatrici – quelli che proliferando sempre più esponenzialmente mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa del pianeta: «Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non finire dopo di noi» ammonisce la citazione di Guido Morselli che apre il documentario insieme a dei paesaggi che rimandano l’immagine di un’apocalisse ormai avvenuta.

Dei quattro protagonisti del film – che osserva il loro lavoro – il primo, Van, è impiegato proprio in Texas, nel funzionamento dei «pumpjack», le trivelle che nella ricerca del petrolio, alla base della produzione di quasi tutte le «belle cose», possono arrivare a scendere a una profondità – 8000 metri – pari quasi all’altezza dell’Everest.

DANILO, un marinaio filippino, lavora invece su una nave cargo transoceanica, gli enormi bastimenti con i quali viene trasportato il 95% degli oggetti di uso comune. Molti dei quali verranno poi testati nelle camere anecoiche, dove il suono è completamente assente e per questo motivo sono inaccessibili alla maggior parte delle persone – a cui potrebbe «far venire in mente il concetto di una bara» dice Andrea, lo scienziato che invece ci lavora da una vita. Il quarto capitolo è dedicato alla cenere, ai detriti, ciò che resta delle cose dimenticate. Il destino di quegli oggetti che riempiono la casa di una coppia della generazione del boom consumista che appare, sempre più straripante, negli «interludi» del film.

Più che capitoli, quelli di Beautiful Things sono infatti i movimenti di una sinfonia elettronica – le musiche sono composte dallo stesso Ferrero – dove le melodie e il tema di fondo si rincorrono da un movimento all’altro: la solitudine e il silenzio che accomuna i lavori di Van, Danilo, Andrea e Vito, e il loro far parte di un sistema complessivo che sfida la natura stessa, rimuove l’esistenza del domani e vive nella frenesia di un eterno presente. Dalla quale sembrano paradossalmente immuni solo i solitari protagonisti, pionieri di un’apocalisse ormai alle porte.