Nel migliore dei mondi possibili Lydia Lunch non avrebbe bisogno di presentazioni. Siamo in un mondo imperfetto, di conseguenza due parole vanno dette. Artista completa, performer, cantante, musicista, compositrice, personaggio di prima grandezza nella scena «alternativa», icona, disturbatrice, terrorista sonora e verbale. Potremmo aggiungere una lunga serie di accrescitivi e definizioni. Possiamo riassumere il tutto in un concetto basilare ed elementare: personaggio unico. La regista Beth B, da tempo sodale di Lydia, ha realizzato un documentario sulla sua attività artistica intitolato The War Is never Over (La guerra non è mai finita), un grido di battaglia inequivocabile. Che ci ribadisce nell’intervista che segue in cui di certo non si risparmia: «Andiamo amico mio… citerò Kafka “C’è speranza… ma non per noi”. Il mondo come lo conosciamo raramente è stato senza conflitti, espropri di terre per le risorse naturali, schiavitù, un complesso di dio, profughi creati da guerre inutili (molti dei quali negli ultimi settantacinque anni esportati dall’incredibile Complesso Militare Industriale degli Stati Uniti… ottocento installazioni militari in tutto il mondo, per non parlare del sistema di ingiustizia criminale americano, più prigionieri di qualsiasi altro paese del pianeta), la disuguaglianza dei sessi, il razzismo e, in generale, il disprezzo per la vita di questo pianeta e tutto ciò che contiene. Possiamo fingere che questi problemi non esistano mentre conduciamo una vita comoda da classe media, ma questi problemi non vengono risolti ed è incredibilmente frustrante che come civiltà che ha tali incredibili progressi tecnologici, non abbiamo ancora progredito abbastanza per imparare come trattare il pianeta e le persone che ci vivono con più rispetto. No. La guerra non è mai finita».
Il documentario di Beth B non ci risparmia nulla. Crudo, essenziale, diretto, senza filtri, ci mostra lo spirito e l’anima iconoclasta di Lydia Lunch, approdata a New York agli albori del punk, a fine anni Settanta, da cui ha attinto il gusto per la provocazione, mai fine a se stessa ma indirizzata a un concetto di abrasione delle certezze morali, dell’omologazione, la classica spina nel fianco della cosiddetta «moralità» o comune senso del pudore. Non solo da un punto di vista civico ma anche musicale. Peraltro, a quanto ci dice Lydia, è solo l’inizio. «Che ne dici della parte due? C’è solo una parte della mia carriera di 43 anni che puoi spremere in 70 minuti. Ho portato a termine molti progetti da quando il documentario è stato terminato. Due album, una commedia, una sceneggiatura, più tour sia musicali che parlati. Il mio podcast The Lydian Spin ora ha 117 episodi e continua a pubblicare un nuovo episodio ogni settimana. Ho completato un documentario che ho prodotto con Jasmine Hirst chiamato Artists-Depression/Anxiety & Rage dove ho intervistato trentacinque persone di diverse discipline creative che uscirà il prossimo anno. Il film è un’istantanea di ciò che ho fatto e continuerò a fare».

VITA RADICALE
Una vita, artistica e non, vissuta radicalmente, resistente a ogni contaminazione con il mainstream, posizione rara da trovare nel mondo accondiscente di oggi. «Perché avrei dovuto cercare strade più facili? Non credo che nulla di ciò che faccio sia così “radicale”. Documento le mie esperienze personali sullo sfondo degli eventi mondiali e parlo, scrivo, recito monologhi che descrivono sia la storia presente che la mia isteria riguardo a questi eventi. Ho pubblicato troppi diversi tipi di musica, testi e persino fotografie per dipingere tutto come radicale, a meno che per radicale non intendi seguire il mio percorso e non essere dettato dalle tendenze, dai social media, dalla popolarità o dalle stronzate». La sua carriera è complessa, ricchissima e difficilmente riassumibile in poche parole. Inizia con i Teenage Jesus and The Jerks, una delle band protagoniste della cosiddetta scena «No New York», in cui nomi come quelli di Lydia, dei Contortions di James Chance, dei DNA di Arto Lindsay, riscrivevano la musica alternativa contemporanea, irridendo il clangore del punk rock (che a quel punto e al loro confronto diventava semplice epigone del pub rock e rock’n’roll) inserendo nella loro proposta noise, jazz, sperimentazione, violenza, abrasione, il punk e l’avanguardia più estrema. A produrre un signore che di suoni sperimentali se ne intende da sempre, Brian Eno. È il 1978 e da quel momento Lydia incomincia un lungo percorso che la porta tra musica e arte, sempre ai limiti. Queen of Siam del 1980 è il suo primo album solista e già preconizza alla perfezione il percorso futuro che la porterà a fianco di icone della musica più estrema, dai Sonic Youth (il piccolo monumento all’abrasione che è Death Valley 69) a Exene degli X (con cui condivide un conturbante libro di poesie), Nick Cave, Einstürzende Neubaten fino alla recente e devastante collaborazione con Marco Bertoni dei Confusional Quartet, Franco Bifo Berardi e Bobby Gillespie dei Primal Scream nell’apocalittico progetto Wrong Ninna Nanna. Inoltre libri, film, video, collaborazioni di ogni tipo e concerti dal vivo di un’intensità rara, in cui riesce sempre a esprimere quel senso di «pericolo» e incertezza che ormai non troviamo più in nessun palco.

ANTAGONISMI
Lydia Lunch rimane ancorata al suo guscio che non significa auto ghettizzazione ma semplicemente consapevolezza di un ruolo che intende continuare ad affermare anche in un contesto culturale che concede sempre meno spazio alle diversità antagoniste e scomode. Quando le chiediamo chi vorrebbe che vedesse il film a lei dedicato risponde sicura e spavalda: «Chiunque sia stufo del pop pulp, chiunque non sia soddisfatto dello status quo. E che crede nel potere dell’individuo di superare il trauma e risorgere dalle ceneri per poter parlare. Qualsiasi individuo che sia stato trascurato, chiunque non abbia potuto ascoltare la voce di queste persone, o che non sia stato in grado di lanciare il grido di giustizia che è stato così spesso soffocato. Questa è la mia gente. Chiunque altro potrebbe farlo meglio. O evitarlo del tutto. Comunque grazie».
Lydia Lunch è un personaggio e un’artista unica, preziosa, da preservare, sostenere e seguire, perché parla un linguaggio che sta scomparendo. Quello che non conosce compromessi, che percorre cocciutamente strade sconnesse, ne apre di nuove, ritorna su quelle meno frequentate, incurante di successo, notorietà, guadagni facili, sempre in bilico, sempre in discussione, senza un futuro scritto, alla faccia di certi sloganistici «no future». Continua a chiedersi come le donne possano essere passate «da Medusa a Madonna». The War Is never Over non usa mezzi termini e ci mostra Lydia affrontare le tematiche femministe in modalità totalmente diverse dalla retorica «buonista» e a favore di telecamera del MeToo o mediaticamente spendibile. Anche in questo caso il linguaggio è scabroso, crudo, efficace e diretto come un pugno in faccia. Il tutto declinato con ironia, umorismo, onestà, approccio esplicito e dissacrante.
Il film sarà presentato in Italia con Lydia Lunch a presenziare. Il 3 novembre a Fiesole, Firenze al Cinema Arci, il 4 a Bologna al Kinodromoal TPO con la partecipazione di Bifo Berardi, il 5 a Milano al Cinema Beltrade, il 6 a Torino al Cinema Massimo.