«Questa è la mia ultima intervista e questo il mio ultimo libro». Scherza sulla prima affermazione, Hanif Kureishi, 62 anni, anglo-pakistano autore di Uno Zero (Bompiani, pp. 125, euro 16, traduzione di Davide Tortorella). Più serio, invece, sulla seconda, quella di voler abbandonare il mondo della letteratura. «Se i miei lettori si strapperanno le vesti per il mio ritiro non posso farci niente. Non ho più l’energia di una volta».

Quindi cosa farà d’ora in poi, si metterà a fare il detective come il personaggio del suo ultimo libro, Waldo?
La verità è che mi sto dedicando a una sceneggiatura per la tv con il mio primo figlio. È un ottimo scrittore, pieno di grinta, cosa che io non ho più; lavorare insieme gli dà molti stimoli e visto che il programma che sta scrivendo durerà sei ore, ci voleva qualcuno che gli desse una mano. La nostra collaborazione permette a lui di costruirsi una carriera, a me di abbandonare piano piano la scena pubblica. Anche se non rinuncerei a scrivere ancora se in futuro mi venisse un’intuizione.

«Uno zero» parla di molte cose: della vecchiaia, del sesso e della disperazione dell’essere umano. Come definirebbe questo romanzo?
Mi piace pensare al mio libro come una «black comedy»: lo humor che si trova all’interno è il mio senso dell’umorismo, quello di una persona che guarda la realtà e la vede un po’ minacciosa, un po’ precaria: proprio com’è la nostra vita oggi. Se poi sei fortunato lo trovi anche divertente, questo mondo.

Al di là dell’umorismo e delle riflessioni sull’incedere del tempo, il suo è anche un noir erotico…
Waldo è un anziano signore che di mestiere ha fatto il regista. Ha una moglie di 20 anni più giovane (lui ne ha circa 80, lei 60). Waldo, si sta lentamente spegnendo, e mentre è intento a godersi questo ultimo brandello di vita che ha a disposizione, si rende conto che nel suo appartamento succedono cose strane tra sua moglie e un certo Eddy che ha iniziato a frequentare casa loro. Allora, nonostante sia in sedia a rotelle – quasi del tutto paralizzato – inizia a raccogliere indizi, fingendosi un detective. Questo è uno degli spunti noir che ho seguito durante la scrittura del libro. Ma l’intero romanzo è influenzato dal genere. E per due ragioni: la prima è che amo molto i noir, le loro atmosfere squallide, i bianchi e neri, i personaggi borderline. La seconda è che nel periodo in cui l’ho scritto leggevo molti romanzi di questo genere, ma ambientati in altre epoche. Così è venuto fuori un noir contemporaneo.

Waldo non smette mai di essere un regista: prima guarda gli altri da dietro una telecamera, poi dal buco della serratura. È una specie di voyeur…
Ovviamente è un uomo abituato a guardare la realtà attraverso la cinepresa. Ma a differenza dei registi, che esercitano un ruolo attivo e creativo nella finzione filmica quando fanno muovere gli attori e danno delle istruzioni, Waldo è del tutto impotente. E non solo sessualmente. Non può contribuire alla vita degli altri, né intrattenere e soddisfare sua moglie. Però continua a voler godere dei piaceri della vita, perché ha ancora moltissima energia dentro di sé.

In che misura Waldo è Hanif Kureishi?
Sicuramente lui è più acido di me. Nonostante questo è affascinante, devo ammetterlo (ride, ndr). Ciò che mi è piaciuto nello scrivere questo libro è stato prestargli la mia voce, muoverlo nelle mie mani come una marionetta, a mio piacimento. È stato come essere un attore e travestirsi per interpretare un ruolo. In un certo senso, quindi, Waldo è e non è Hanif Kureishi.

Il tema della vecchiaia torna spesso nei suoi libri, già in Intimacy (1998). Come affronta questa condizione di vita Waldo e come la affronta lei?
Quello che mi piace di lui è che, nonostante il decadimento fisico, è molto lussurioso. Osa fare qualsiasi cosa perché non ha affatto perso le energie. Energie che sono solo nella sua testa, purtroppo, ma che esistono finché c’è la vita.
Quanto a me, sono cambiato molto: ero un giovane con molte paure e angosce. Ora sono diventato meno nevrotico, meno ansioso. E proprio ora che potrei concedermi il lusso di una vita senza preoccupazioni, sono troppo vecchio.

E il sesso, cosa ha rappresentato nella sua vita e nella sua professione di scrittore?
Credo che sia un fortissimo collegamento tra l’umano e la vita; lo definirei quasi il più grande dei piaceri dell’esistenza. E non mi riferisco ad esso solo come all’atto sessuale, ma come curiosità generale nei confronti della vita. Mi viene in mente la definizione freudiana – presa in prestito da Platone – di eros come assenza di depressione; capacità di sentirsi in contatto con la vita in modo diretto.

Perché ha deciso di abbandonare lo pseudonimo con cui aveva iniziato la sua carriera?
Per qualcuno assumere uno pseudonimo vuol dire spogliarsi dei pudori e abbandonare tutti i freni. Personalmente non ho mai avuto simili inibizioni, perché non ho mai pensato che sarei stato più libero se fossi stato qualcun altro. Ho sempre voluto essere uno scrittore, fin da quando avevo 14-15 anni. Ma allora era una cosa che potevo soltanto sognare. Non immaginavo che si sarebbe realizzata. Mi piaceva pensare che le persone si riferissero a me dicendo «è uno scrittore». L’idea mi esaltava moltissimo, pensavo a quanto sarebbe stato bello, a cosa avrei fatto, a che vestiti avrei indossato. E non riuscivo a smettere di pensarci. È stato proprio questo pensiero costante a salvarmi in un periodo della vita molto turbolento.
Quando ero Antonia (lo pseudonimo che aveva scelto all’inizio, ndr) scrivevo ancora articoli per i giornali. A un certo punto decisi che era il momento di uscire dall’ombra e farmi conoscere. Qualcuno, ancora oggi, però mi chiama Antonia.

Il suo personaggio desidera una donna di 60 anni, cosa che nella società attuale ha destato una certa curiosità, vista la scelta coniugale di Emmanuel Macron. Cosa c’è di «scandaloso» nell’attrazione per una donna matura?
Il problema della moglie di Macron e della loro relazione è che erano 30 anni che in ambito culturale francese non accadeva nulla. Un tempo, soprattutto nel dopoguerra, la Francia era all’avanguardia per letteratura, filosofia, cinema, psicoanalisi. Dopo quegli anni c’è stato uno stallo di diversi decenni. Sono felice che Macron abbia illustrato personalmente la varietà di attrazioni sessuali che esistono nel mondo. Ma soprattutto sono contento che abbia smontato lo stereotipo di coppia perfetta.