Non sono pochi i personaggi dello spettacolo italiani e non solo sui quali è stato scritto e detto (quasi) tutto, per cui si alimenta in genere la convinzione che non c’è più nulla da scoprire o approfondire. In realtà per artisti ad esempio come Totò da anni ci si limita a gestire pigramente quello che già si sa e vista la ricaduta commerciale, continuano ad uscire libri inutili, ristampe, materiali riciclati. Il problema è che in Italia la ricerca ristagna e non basta un ricambio generazionale se poi mancano la necessaria passione, motivazione, competenza. Ma nonostante questo c’è chi riesce a scardinare il muro dell’acquisizione assoluta e definitiva. Come Domenico Livigni che assomma tutte queste caratteristiche e proprio su Totò ha fatto una preziosa scoperta che ha anche il sapore di quel tipo di ricerca archeologica di altri tempi. Perché in questo caso non si può parlare di un vero e proprio metodo da assumere a modello. Il ventunenne studente in “Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale” presso l’Università degli studi di Napoli Federico II – appassionato collezionista di storia del cinema e del teatro italiano del secolo scorso, raccogliendo negli anni un numero notevole di fotografie originali, sceneggiature, riviste, libri e documentazioni inedite – si è imbarcato con lo spirito tra il detective, il topo di biblioteca e il rigore dello studioso in un’avventura irripetibile che lo ha portato al ritrovamento di una rara, inedita, anonima sceneggiatura con protagonista il Principe De Curtis, sconosciuta anche ai maggiori totologi e totofili italiani come Ennio Bispuri e Alberto Anile. Livigni con determinazione e perseveranza ha cercato di risalire agli autori dello script e di saperne di più sulla mancata realizzazione del film. De resto il suo racconto esemplifica bene la difficoltà di operare quando ci s’imbatte in scoperte come questa: “La sceneggiatura “Totò pellegrino”, l’ho comprata in un negozio di antiquariato di Roma. Una sceneggiatura di ben 372 pagine numerate (109 delle quali, purtroppo, sono andate perse)articolata in due volumi, rilegati in un’antica copisteria romana. Il “presunto” film irrealizzato è ambientato nel 1950, tra una piccola cittadina napoletana inesistente (Monticello Vesuviano) e Roma. Il protagonista delle peripezie comiche è Totò Pajolo, un povero e scapestrato “diavolo”, martirizzato dal suo nucleo familiare (troppo bacchettone e rigoroso), a tal punto che è costretto a percorrere un lungo pellegrinaggio a piedi, da Napoli a Roma, dopo aver pronunciato un giuramento rivolto “al cielo”. Caterina Pajolo, sorella di Totò e donna isterica, passa le sue giornate a tormentare il fratello più furbo e sbarazzino. Finché una sera, stanco dell’ennesima “mazzata” da parte della sorella, Totò annuncia un voto, fatto sotto giuramento: “Cielo, fai il miracolo di trovarle un marito e prometto di andare a Roma a piedi!”. In men che non si dica, in quel preciso istante arriva un pretendente…E con lui, anche il matrimonio! A Roma il protagonista è ospite di uno zio, il padre superiore di un monastero dove iniziano una serie di disavventure legate ad un tesoro custodito gelosamente. Il proprietario di un night interessato al tesoro darà l’incarico a due strozzini di rubare il bottino e questi con l’aiuto di Totò entreranno all’interno del convento e riusciranno a rubare il malloppo. Il povero Totò, accusato del furto, cercherà, con i suoi mezzi surreali e imprevedibili, di riportare la refurtiva ai suoi legittimi proprietari. Dalle note descrittive della sceneggiatura, è ben palese il costume classico del comico, la bombetta e il suo goffo e largo tight. L’autore, o precisamente gli autori, all’epoca non firmarono questo lavoro. E quindi, da una serie di indagini di confronto, sostenute anche dall’autorevole competenza di Ennio Bispuri, sono arrivato alla conclusione che gli autori della sceneggiatura altri non sono che il duo Age e Scarpelli. Confrontando la sceneggiatura “Totò pellegrino” con un’altra sceneggiatura nota della coppia, “Napoletani a Milano”, ho rilevato che il metodo di scrittura è lo stesso (la cosiddetta “sceneggiatura all’italiana”), i caratteri tipografici di entrambe le sceneggiature provengono da una stessa macchina da scrivere e anche la sceneggiatura “Napoletani a Milano” presenta all’interno lo stesso timbro dell’antica copisteria romana Copisteria Moderna. Consultando inoltre il sito del “Centro studi Commedia all’italiana” di Castiglioncello, che possiede un archivio Furio Scarpelli, ho notato che anche altre sceneggiature del binomio, databili anni ’50, presentano all’interno lo stesso timbro della copisteria. Sarà una coincidenza?”. È chiaro che la vidimazione di un’autorità in materia come Bispuri, autore di cinque libri su Totò, costituisce un fondamentale tassello circa l’identità del copione ma si tratta pur sempre di una sceneggiatura provvisoria, in fieri, di una prima stesura con alcune annotazioni scritte a mano suscettibile di una stampa definitiva in vista del film che non si è mai fatto. Insomma ci sono delle prove incoraggianti ma anche indizi che restano tali, capaci di alimentare suggestive ipotesi. È questa l’unica versione ed è rimasta tale perché si capì rapidamente che non c’erano le condizioni per girare il film o perché i potenziali produttori si defilarono perché magari avevano delle riserve commerciali su un Totò più vittima che carnefice? Age e Scarpelli non la firmarono perché si trattava di una stesura provvisoria o perché loro stessi non erano molto convinti? La corposa parte mancante è andata perduta per un banale incidente di organizzazione della sceneggiatura (potrebbe anche essere rimasta nella copisteria) o è stata subito eliminata per alleggerire il tutto? Insomma questo Totò “apocrifo” resta avvolto nel mistero. Uno di quei misteri che hanno contribuito a fare grande il cinema italiano.