Si chiamava no wave e fu per un breve e tumultuoso periodo, una controcultura artistico-musicale che, generatasi dal mondo punk newyorkese, voleva contrapporsi, con la ruvida attitudine tipica della Grande Mela, a tutte le correnti che, in quegli anni, sembravano dominare il mainstream. Prima fra tutti la new wave.
Era il 1980 e i protagonisti di questo movimento-non movimento erano artisti insofferenti alle regole e al conformismo come Glenn Branca, Arto Lindsay o Lydia Lunch. Al centro di questo fermento creativo c’era però anche una bambina di 12 anni: Chandra Oppenheim, la più insolita e originale regina che l’underground Usa abbia mai avuto. La storia di Chandra inizia in una famiglia ad alta vocazione artistica. Il padre Dennis Oppenheim, newyorkese di Tribeca, artista concettuale, era uno degli innovatori del linguaggio dell’arte contemporanea Usa.
FRONTWOMAN
Fu lui a scoprire il precoce talento e la passione della figlia che, affascinata dall’esplosiva prolificità artistica del genitore, iniziò a sette anni a scrivere canzoni. Nel frattempo si esibiva al Kitchen in performance teatrali d’avanguardia e a 8 era anche protagonista di alcune opere fotografiche del padre. Infine, nel 79, a 11 anni, la ragazzina affittò una sala prove e in età da scuole medie divenne leader di una sua band, i Chandra. Non una bambina prodigio manipolata dagli adulti, ma una vera frontwoman a cui era data libertà di scrivere musica e testi e interpretarli a suo modo. Un esperimento in creatività pre-adolescenziale.
Accanto a lei si ritrovarono due musicisti, Eugenie Diserio e Steven Alexander, che avevano militato in una band chiamata Model Citizens, lanciata da John Cale dei Velvet Underground. Alla batteria il noto Fred Maher (Lou Reed, Material, Scritti Politti).
«Gli altri musicisti – ha ricordato Chandra in un’intervista – scrivevano con me la musica e erano i miei maestri. Mi guidavano, insegnandomi a improvvisare e a essere creativa. Mi aiutavano a dare voce a quello che volevo esprimere. Ed era quello che volevano. Io dovevo solo dire quello che volevo dire e fare quello che volevo fare».
Il risultato di questa curiosa sperimentazione, a suo modo trasgressiva e inedita, si tradusse in un ep pubblicato nel 1980 a nome Chandra e intitolato Transportation. La freschezza e la precocità della protagonista stemperava l’aggressività classica della musica di quel periodo e di quella scena in un pop stravagante, ipnotico e contagioso, guidato dall’interpretazione originale e carismatica di una voce giovanissima, ma straordinariamente sicura di sé. I Chandra debuttarono così al Mudd Club, il ritrovo della New York artistica dell’epoca, epicentro della no wave, e luogo di incontro di personaggi quali Lou Reed, David Bowie, David Byrne, Keith Haring e Basquiat con la sua fidanzata dell’epoca, Madonna (vedi Alias del 3 marzo 2018, ndr). La ragazzina divenne una piccola sensazione di quel mondo artistico e bohémien, la sua energia e la sua genuinità la rendevano unica. Ricorderà: «Ero più a mio agio sul palco che altrove».
COLLEGHI 
I suoi colleghi adulti cercavano di preservare al massimo l’autenticità dei suoi testi e delle sue ispirazioni e rimanevano impressionati ogni volta. Ha detto Steven Alexander: «La musica era molto diversa dall’aggressività di tanto materiale no wave, era per molti aspetti quasi meditativa. C’erano momenti in cui la musica pulsava e Chandra cantava davanti a una stanza piena di hipster stregati. La guardavano a bocca aperta».
La sua innocenza era anche una ventata d’aria pura in un ecosistema che si nutriva, rimandandole in circolo, di trasgressione e ambiguità. «Facevamo di tutto per proteggerla – ricorda Eugenie Diserio, il cui senso della moda la ispirerà inducendola anche a crearsi da sola gli abiti – tutti si comportavano al meglio attorno a lei, volevamo solo che avesse modo di esprimersi liberamente». Nei testi Chandra parlava di insegnanti, amichette spocchiose e di piccole esperienze, ma con uno stile espressionista incontaminato e onesto. Nella canzone Subways, il suo brano più celebre, raccontava di un viaggio sulla metropolitana di New York, un’esperienza che a quell’età doveva sembrare eroica e minacciosa («Ti spaventi perché non capisci/Il treno finalmente si ferma/Cammini attraverso le porte/ma non puoi uscire perché ti sei persa»).
Forse a questo punto della storia ci sarebbe da attendersi una svolta tragica, classica di tante narrazioni di ragazzini prodigio proiettati in realtà più grandi di loro. L’ambiente malsano della Grande Mela di quegli anni non tollerava l’innocenza. Ma nella storia di Chandra Oppenheim, questo colpo di scena per fortuna non c’è. La piccola diva di culto, lasciata libera di creare e di cantare, fu lasciata anche libera di scegliere il proprio destino. Nell’81 mise in piede un nuovo gruppo, i Chandra Dimension e approntò un secondo ep mai uscito. Ci furono anche delle esibizioni ma alla fine «dovetti scegliere tra la musica e la scuola. E scelsi la scuola». L’idea era di tornare alla musica dopo gli studi con Chandra che ha sempre continuato a suonare e a comporre. Ma tempo e magia erano ormai svaniti. E stavolta il futuro era una carriera nel settore immobiliare.
SECONDO CAPITOLO
Finché un’etichetta canadese, la Cantor, ha ristampato il disco Transportation, invitandola nel 2014 a esibirsi sul palco a più di 30 anni di distanza dagli esordi. È iniziato così il secondo capitolo della sua vita artistica che nel 2015 l’ha portata a incidere A Slightly Better Idea, un disco mutimediale. Poi nel 2016 il brano Subways è stato campionato dalla band australiana The Avalanches nell’album Wildflowers. Chandra, anche grazie a questa ulteriore riscoperta, ha ritrovato notorietà e la voglia di tornare a suonare con regolarità. Oggi ha superato da poco i 50 anni ed è madre di una bambina della stessa età di quando lei iniziò. Nel frattempo Transportation è stato nuovamente pubblicato lo scorso novembre in un’edizione arricchita dai brani inediti del secondo ep. Chandra ha messo insieme una nuova band e dopo un mini tour ha ripreso quel sogno musicale che aveva messo nel cassetto. Il suo passato e il suo presente si uniscono oggi in sua figlia che ogni tanto sale sul palco a cantare le canzoni scritte un’era fa da una coetanea diventata sua madre. Ma con alcune censure. In un pezzo del 1980 la piccola Chandra cantava: «Che ne pensate del suicidio? Non pensiate che noi non ne saremmo capaci!».
«Non farei mai cantare a mia figlia quella canzone per quel verso – spiega -. L’ ho scritto e cantato alla sua età, ma c’è qualcosa che da madre mi blocca». Per lei riproporre a 50 un suo repertorio infantile è anche un viaggio psicanalitico, un confronto con una parte di sé. «Sono entusiasta e non vedo l’ora di continuare a suonare con una band – dice oggi -. Voglio salire sul palco e avere la possibilità di esplorare il collegamento con la me stessa giovane che scrisse quelle canzoni e vedere che reazioni provocano. In fondo la mia musica ha avuto una vita propria, creando per trent’anni un proprio seguito di culto».

Chandra con la sua band oggi