Appena entrati nelle sale del Mambo dedicate alla mostra Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky si rimane affascinati dal dipinto di Filip Maljavin Due ragazze contadine del 1910, una ritratta di fianco e l’altra dallo sguardo dritto negli occhi dell’osservatore, l’una avvolta in mille sfumature del colore rosso vivo, l’altra immersa nel verde. Le pennellate somigliano al segno di un Cézanne, le silhouette appiattite richiamano lo stile di Klimt.

L’ARTE DELLE AVANGUARDIE russe è uno dei capitoli più importanti e radicali del modernismo nel senso che nel periodo compreso tra il 1910 e il 1920 ha visto nascere scuole, associazioni e movimenti d’avanguardia diametralmente opposti, l’uno all’altro, e con ritmo vertiginoso. La mostra bolognese – aperta fino al 13 maggio – è nata con l’intento di puntare il focus sulla grande varietà degli sviluppi artistici in Russia tra i primi del Novecento e la fine degli anni trenta ma anche, come ha sottolineato Evgenia Petrova, co-curatrice con Joseph Kiblitzky della mostra, nonché vicedirettrice del Museo di stato russo di San Pietroburgo, dal quale provengono le oltre settanta opere esposte, nella sua introduzione: «riportare all’attenzione non tanto della critica o degli addetti ai lavori, quanto del pubblico, artisti quali Repin, Petrov-Vodkin o Kustodiev, rimasti un po’ nell’ombra a causa dell’enorme successo avuto dai vari Chagall, Malevich o Kandinsky che pure sono presenti in mostra».

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LE TELE RACCONTANO STILI e dinamiche di sviluppo degli autori che testimoniano la straordinarietà di quell’epoca storico-artistica in cui vediamo rispecchiati tutti i movimenti in auge nell’intera Europa: dal primitivismo al cubo-futurismo, dal suprematismo, al costruttivismo, dall’espressionismo figurativo all’astrattismo.
Ma soprattutto ci fanno scoprire quelle opere che erano finite nelle cantine nel periodo staliniano per riemergere alla luce unicamente con la glasnost del 1989, come ad esempio il ritratto di Stalin dipinto da Pavel Filonov nel 1936. Dello stesso Filonov fu censurato Il banchetto dei re dalla «trojka» nel 1940, ossia la triade del Kgb che ai tempi di Stalin emetteva condanne in assenza dell’imputato – lo impariamo dalla citazione dal diario della moglie Ekaterina, riportata su uno dei tanti cartelli che forniscono preziose informazioni storiche. Fu questo il quadro in cui l’artista già nel 1912-13, grazie alla sua particolare tecnica pittorica, era riuscito a visualizzare lo spirito distruttore che già aleggiava in quegli anni sull’Europa, da lui intuito e portato all’apice in La guerra germanica del 1914-15. Con la stessa tecnica nel segno, cambiando unicamente la dominante del colore da rosa-blu-nero in azzurro-nero, Pavel Filonov ha saputo sintetizzare in un’unica immagine la teoria del socialismo reale in Stacanovisti (Maestri dell’arte analitica), creata nel 1935-36.

DI TUTT’ALTRA TECNICA e altri stili, ma simili nel contenuto di critica ideologica, sono i lavori esposti di Natal’ja Goncarova, a partire dal trittico Contadini e da Lavandaie (entrambi del 1911) fino al Ciclista (del 1913, in perfetto stile futurista). Un’intera stanza è occupata dai costumi ricostruiti addosso a manichini che Kazimir Malevich aveva creato nel 1913 per l’opera La vittoria sul sole scritta dal compositore Michail Matiušin e lo scrittore Aleksej Krucënych con cui aveva già redatto il manifesto per il Primo Congresso Futurista. Dell’opera si vede il video di una messinscena, per cui l’intera parete si trasforma in un quadro animato dove si scorgono le anticipazioni del suprematismo fondato dallo stesso Malevich nel 1915. Accanto ai noti Quadrato nero, Quadrato rosso, Cerchio nero, ci sono anche opere dell’ultimo periodo più figurativo, altrettanto potente nell’espressione astratta: da Casa rossa e Cavalleria rossa (entrambi del 1932) a Presentimento complesso (Torso in camicia gialla). Pertanto ricordiamo che Malevich fu arrestato nel 1930 a causa delle sue relazioni con gli artisti tedeschi del Bauhaus e con Le Corbusier, e morì a Leningrado nel 1935.
Per chi si occupa di grafica sono imperdibili i lavori esposti nell’ultima stanza, le composizioni per i cosiddetti Vetri di propaganda di Nathan Alt’man e Sof’ja Dymšits-Tolstaja, da quello dedicato a «La pace nelle capanne, la guerra ai palazzi» (della seconda, nel 1920) a Petrokomuna (del primo, nel 1921).