Quando sul vostro computer compare l’icona privacy tanto vale cancellarla: tutto quello che fate in Internet non ha segreti, per quanti accorgimenti tecnologici possiate usare. Edward Snowden – l’ex analista Cia che lavorava come contrattista per la National Security Agency (Nsa) tuttora imbottigliato all’aeroporto moscovita di Sheremetevo – lo aveva detto: «Io, dalla mia scrivania potrei intercettare chiunque: voi, il vostro commercialista, un giudice federale e anche il presidente, se ho una mail personale». Ieri il Guardian ha illustrato il concetto. La Nsa non spiava solo i cellulari col Prism, ma anche tutti i computer attraverso l’Xkeyscore, un programma segreto che consente all’intelligence di monitorare in tempo reale e senza autorizzazione della magistratura i dati privati nella rete. Collegato ad altri sistemi sofisticati e top secret, il programma consente di rintracciare lo storico di ogni contatto e di intercettarlo: dalle mail alle chat, agli indirizzi ip, ai siti visitati, tutti i metadati finivano sui grandi server della Nsa. Una deriva securitaria messa in moto dal Patriot Act del 2001, che ha autorizzato la raccolta dei metadati nel quadro della «lotta al terrorismo», e proseguita finora senza controllo: ovvero senza forti contrappesi nella società nordamericana la quale, debitamente orientata, secondo recenti inchieste è disposta a subire gli eccessi del «grande fratello» per sentirsi in sicurezza.
«Questo tipo di programmi ci consente di raccogliere le informazioni per difendere la nazione e per proteggere le truppe americane e alleate all’estero», si difende l’intelligence, che ha fin da subito contestato la versione di Snowden e poi ammesso parzialmente «un certo numero di problemi di conformità». Invece le rivelazioni di Snowden dicono che all’analista di intelligence bastava inserire l’indirizzo mail di un qualunque cittadino del mondo in un singolo modulo di ricerca online, aggiungere la «giustificazione» per la ricerca e filtrarla per il tempo necessario al monitoraggio per avere accesso a tutte le comunicazioni degli Stati uniti, a quelle in entrata e in uscita. Un sistema di controllo che coinvolge anche le grandi compagnie di telecomunicazioni e i provider. Tanto che un cittadino statunitense che per questo si è rivolto ai tribunali ha ricevuto una risposta poco rassicurante: il Quarto emendamento non garantisce un diritto generale alla privacy.
Messa sotto pressione dal Congresso in vista dell’audizione dei vertici della Nsa , la Direzione americana di intelligence (Odni) ha declassificato il documento che obbliga la compagnia Verizon a consegnare alla Nsa la totalità dei dati dei suoi abbonati. Un documento di 17 pagine emesso dalla Fisa Court, una Corte federale creata nel ’78 per approvare e sorvegliare indagini relative a sospette spie straniere negli Usa, accusata di aver esteso all’eccesso i margini di manovra della Nsa. Come aveva detto Snowden, si ordina alla compagnia di consegnare tutti i metadati, un obbligo che riguarda sia le comunicazioni «fra gli Stati uniti e l’estero», sia «all’interno degli Stati uniti, comprese le chiamate telefoniche locali». L’Odni ha reso pubblico anche un altro documento del 2011 con il quale ha ottenuto il rinnovo delle intercettazioni fino al 2015.
«Siamo pronti a rivedere questo programma per creare una maggiore fiducia nel pubblico». Così si è espresso Robert Litt, avvocato delle organizzazioni di intelligence davanti alla commissione giustizia del Senato, composta da repubblicani e democratici. «Abbiamo bisogno di risposte chiare», ha replicato il presidente della Commissione, il democratico Patrick Leahy. Snowden è l’ottava persona accusata di spionaggio dall’elezione del presidente democratico, più casi di tutti gli altri presidenti messi insieme.