Ha più forza l’accusa a un sistema o la denuncia di una singola molestia, di un singolo molestatore? A due giorni dalla pubblicazione, si polarizza così la discussione intorno alla lettera di centoventiquattro attrici, registe e professioniste dello spettacolo che con il titolo “Dissenso comune” entrano nel dibattito mondiale sugli abusi contro le donne.

Il testo da subito esprime solidarietà «nei confronti di tutte le attrici che hanno avuto il coraggio di parlare in Italia e che per questo sono state attaccate, vessate, querelate», e aggiunge «noi vi ringraziamo perché sappiamo che quello ognuna dice è vero e lo sappiamo perché è successo a tutte noi con modi e forme diverse».

Ma il documento non prende la direzione del #metoo, che non viene neppure nominato, imbocca la via del ragionamento su un sistema. E perde per strada la forza del parlare a partire da sé, del ragionare sulla propria esperienza.

È uno stridore che si avverte soprattutto quando si parla delle attrici, dal noi si passa improvvisamente a un “loro” che oggettiva e distanzia «la loro visibilità è la nostra cassa di risonanza».

E si sposta decisamente il discorso quando dalla molestia sessuale “trasversale” si passa alla «disuguaglianza del potere», che rende tutte le donne «a rischio di molestia perché sottoposte sempre a un implicito ricatto». La lettera nel finale ritorna al noi e accusa: «Noi non siamo le vittime di questo sistema ma siamo ma siamo quelle che hanno la forza di smascherarlo e ribaltarlo. Non puntiamo il dito contro il singolo ‘molestatore’. Noi contestiamo l’intero sistema. Questo è il tempo in cui abbiamo smesso di avere paura».

Sono molti i nomi del cinema italiano che firmano, Valeria Golino, Paola Cortellesi, Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Sonia Bergamasco, Giovanna Mezzogiorno, Jasmine Trinca tra le attrici, tra le registe le sorelle Cristina e Francesca Comencini, Alina Marrazzi, Laura Bispuri, Roberta Torre.

Parlano a cinque mesi dall’uscita delle prime denunce statunitensi, si sono riunite, hanno discusso. In un’intervista Jasmine Trinca, a proposito delle firme anche illustri che mancano, ha detto: «Qualcuna non ha condiviso fino in fondo il documento, altre hanno posizioni più radicali».

Mancano del tutto le attrici che hanno denunciato già da mesi, come Asia Argento e Miriana Trevisan, che pure sono state interpellate.

Asia Argento in un’intervista ne ha spiegato i motivi: «Non si può dire ‘anche noi abbiamo vissuto’ e poi non dire di chi si sta parlando». L’attrice poi accusa le firmatarie di averla lasciata sola. «Non ho mai ricevuto un sms di sostegno delle attrici – racconta – e alcune di loro, quando le ho incontrate, si sono girate dall’altra parte. Capisco che magari si vergognavano di parlare con i giornali e le televisioni ma almeno privatamente avrebbero potuto dimostrare solidarietà – conclude – Invece è stato il silenzio assoluto. Un silenzio assordante».

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Non è facile colmare vuoti e silenzi. Dopo le denunce americane, il golden globe in nero, il #metoo e #wetogether, ma anche il #quellavoltache in italiano. E la copertina di Time, dedicata alle silence breakers.

In ogni caso l’iniziativa è senza precedenti, è la prima volta che donne dello spettacolo in Italia prendono parola, si organizzano, annunciano assemblee e iniziative. L’importante è che non si isolino, non si sentano un mondo a parte, rispetto al movimento.

L’ottomarzo è alle porte, sarà bella e significativa la loro partecipazione.

Quanto al punto centrale, a me sembra che la verifica sia semplice. Le polemiche, per ora hanno solo voci femminili, solo tra donne. Tutti gli altri tacciono e stanno a guardare.

Dopo le accuse a Tornatore e a Brizzi, le contromisure sono state rapide e efficaci, e hanno silenziato le voci critiche. Tra accuse di moralismo, censura, e perfino ricerca di protagonismo a buon mercato. Dove arriverà la forza della denuncia di Dissenso comune? Quanta paura fa questa lettera al sistema che viene così nettamente messo accusa?

Come dice in un’intervista una delle firmatarie, Alba Rohrwacher: «Sono curiosa di vedere quello che succederà».