È di grande rilevanza l’editoriale dell’autorevole rivista The Lancet che, nella ricorrenza dei crimini su Hiroshima e Nagasaki, prende posizione senza riserve sulla necessità assoluta di liberarci delle armi nucleari: “Occuparsi della minaccia delle armi nucleari“.

Se lo scorso anno la ricorrenza passò ampiamente inosservata a causa della “tuttora presente minaccia del Covid-19”, e “la guerra nucleare non è fra le massime priorità della gente”, “secondo il report Global Risk 2021 del World Economic Forum le armi di distruzione di massa sono ancora la più grande minaccia esistenziale a lungo termine per il mondo”.

L’editoriale ci ricorda che i medici sono sempre stati “in una posizione unica” per denunciare i rischi capitali delle armi nucleari, perché più dei fisici – per non parlare dei politici – conoscono i pericoli delle radiazioni ionizzanti: fu l’Ippnw (International Physicians for the Prevention of Nuclear War) a lanciare la campagna Ican (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) suscitando la tenace volontà di associazioni della società civile in tutto il mondo che quattro anni fa raggiunse un risultato fino ad allora impensabile, con l’approvazione il 7 luglio 2017 nel negoziato delle Nazioni Unite del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (Tpan).

Il manifesto si è sempre distinto per la costante attenzione a questo tema, ma è una conferma gratificante l’affermazione perentoria di Lancet che “solo il genuino impegno politico per il disarmo nucleare potrà prevenire futuri disastri nucleari”. Risuona con quanto scrivevamo pochi giorni fa su queste pagine che “le armi nucleari sono un problema sanitario. … Gli effetti sanitari delle radiazioni dalle bombe nucleari persistono nei sopravvissuti, compresi i lavoratori di emergenza e recupero, per molti anni.”

Proprio ieri è stato reso noto il rapporto del’Ipcc sulle drammatiche condizioni della crisi climatica, che peraltro sono sotto gli occhi di tutti. Il rapporto non fa però menzione dei rischi incombenti di una guerra nucleare, d’altra parte l’Ipcc è un’istituzione finanziata dai governi e non può interferire con le loro politiche, tanto più è opportuna l’affermazione di Lancet, non certo per rincarare la dose ma per rimarcare l’indifferibile necessità di un cambiamento radicale: “Una guerra nucleare potrebbe fare impallidire una pandemia in termini di impatti sulla salute, pressione sui servizi sanitari, difficoltà a proteggere i lavoratori essenziali, effetti sociali, e schiaccianti ripercussioni sociali”. Detto dalla più autorevole rivista medica è davvero agghiacciante: va al di là di ogni immaginazione cosa accadrebbe dei nostri servizi sanitari se vi fosse un’emergenza sanitaria radiologica.

L’editoriale del prestigioso giornale, dopo avere succintamente ricordato le conseguenze dei test nucleari e gli inascoltati allarmi del Doomsday Clock dell’incombere della catastrofe globale, conclude sottolineando la rilevanza di un prossimo, cruciale appuntamento, ricordando, contro la sordità degli Stati nucleari e della Nato, che “nel gennaio del 2022 (incontro posticipato a marzo, ndr) avrà luogo a Vienna il primo incontro degli stati aderenti al Tpan, dove gli stati e le società civili si incontreranno insieme per discutere come implementare il trattato e valutare il progresso verso il suo scopo, in particolare per stabilire un termine per l’eliminazione delle armi nucleari per gli stati nucleari che aderiscano. L’incontro offre un’ulteriore opportunità per la comunità medica per premere sui leader mondiali perché prendano provvedimenti urgenti contro la proliferazione delle armi nucleari e si preparino nel caso di disastro nucleare”.

È di importanza fondamentale fare in modo che il governo italiano vi partecipi ufficialmente, a dispetto delle fortissime pressioni contrarie che si eserciteranno.