Parlare di Napoli non è impresa facile. Secoli di tenaci stereotipi hanno condizionato il discorso sulla città e negli ultimi decenni la reazione a tali stereotipi ha generato una «contro-narrazione» che ha, a sua volta, costruito nuovi luoghi comuni dai quali sembra ormai difficile uscire. Claudio Corvino, antropologo e storico già autore di numerosi saggi, in Tradizioni popolari di Napoli (Newton Compton, pp. 348, euro 12,90), sceglie un’angolatura apparentemente classica per riportare l’attenzione sul capoluogo campano e cioè la sua cultura popolare: non quella che oggi viene considerata tale (la canzone neomelodica, i nuovi stili di vita giovanili o le varie subculture camorristiche) bensì quella che appartiene da sempre alle classi più disagiate, fondata su una religiosità profondamente cattolica ma decisamente irregolare, intrisa di residui precristiani, di componenti magiche e visionarie.

MOLTO È STATO SCRITTO su questo argomento e l’autore ne dà conto, citando sia gli studi scientifici più recenti che quelli di vecchia data, quando il folklore era inquadrato nella categoria del «pittoresco». Si spazia, solo per citare alcuni degli argomenti trattati, dal culto dei morti (più precisamente quello dei morti anonimi, che ha dato origine alle credenze sulle anime purganti), al culto di San Gennaro, dalla festa della Madonna dell’Arco, nota per la sua ritualità esasperata, ai celebri «femminielli», dal gioco del lotto agli ex-voto che riempiono i santuari, per arrivare alle figure di alcuni santi, come San Biagio, oggetto di particolare devozione.

TUTTI QUESTI ASPETTI del folklore napoletano non sono trattati solo nella loro dimensione locale ma vengono, pur mantenendone la specificità, inquadrati nelle loro radici più profonde e collocati nei loro contesti europei e mediterranei. Ecco allora, per esempio, dietro al culto delle anime (che assicura al devoto una relazione paritaria di scambio e di mutuo sostegno con la divinità) intravedersi il mito diffuso in tutta Europa della caccia selvaggia e dell’esercito dei morti senza pace, costretti a vagare per l’eternità; ecco il presepe popolare connettersi a quello provenzale o siciliano mentre una maschera carnevalesca, come l’androgina Vecchia ’o Carnevale (un personaggio «doppio», una vecchia fusa con un Pulcinella), è messa in relazione con le sue equivalenti che si ritrovano in Portogallo o in Bulgaria; oppure, ancora, i «cippi» di Sant’Antonio collegati ai falò invernali ritualmente accesi in molte culture tradizionali. Ovviamente lontano da qualsivoglia tentazione di leggere questi fenomeni come effetto di una mentalità «prelogica», Corvino interpreta questo denso e polisemico sostrato folklorico come una maniera di «riordinare il mondo», di dare a esso senso e valore e come realtà metastoriche create «per uscire fuori da un mondo che non è appagante, vissuto come incomprensibile, quando non ostile».

PENSATO ESPLICITAMENTE come un lavoro di divulgazione, Tradizioni popolari di Napoli prende il lettore per mano, accompagnandolo gradualmente alla scoperta ed al significato di questo universo simbolico che per essere decifrato richiede anni di studi e di osservazione diretta, cose normalmente riservate agli addetti ai lavori – antropologi, etnologi ed etnomusicologi e ai loro studenti.
A chi non è avvezzo all’analisi specialistica, invece, vengono purtroppo riservate quasi sempre le occasionali aperture dei grandi giornali o della televisione, per lo più impressionistiche, falsificanti, incapaci di andare al di là dei facili accostamenti e delle ammiccanti analogie con risultati disastrosi per una corretta comprensione di questi fenomeni. Qui, invece, pur nel taglio esplicativo, il rigore metodologico è assoluto, le interpretazioni sempre plausibili e la lettura piacevole e accessibile a tutti.