Si conclude nella giornata di oggi la trentesima edizione del Tokyo International Film Festival, l’evento della capitale nipponica che ogni anno cerca di districarsi nella follia autunnale dei festival cinematografici. Non ancora all’altezza di Busan, senza dubbio il festival più importante del continente asiatico, il TIFF ha comunque degli angoli interessanti e delle sezioni da scoprire. Quest’anno la manifestazione ha voluto celebrare e portare all’attenzione del pubblico quattro giovani attrici che negli ultimi anni hanno saputo distinguersi per le loro interpretazioni, Yu Aoi, Hikari Mitsushima, Aoi Miyazaki e Sakura Ando, con soprattutto quest’ultima che è stata in qualche modo il volto di alcuni dei migliori film giapponesi d’autore usciti nell’ultimo decennio.

 

 
Da un paio di anni il festival organizza inoltre in ogni sua edizione anche una retrospettiva completa su un autore di casa, negli anni scorsi fra gli autori celebrati figuravano Anno Hideaki e Hosoda Mamoru, mentre per questa edizione gli organizzatori hanno pensato a Keiichi Hara.

 

 
Si tratta di una scelta molto azzeccata che ha permesso ad un gran numero di spettatori e addetti ai lavori, anche se non soprattutto non giapponesi, di (ri)scoprire ed aprezzare una delle voci autoriali più originali nel panorama del cinema contemporaneo animato del Sol Levante.
Hara è infatti nato come animatore e come regista di serie animate per poi trasferire il suo talento anche sul grande schermo – la presenza di Hara al festival ha permesso anche di riflettere sullo stato dell’animazione, un po’ croce e delizia dell’industria cinematografica giapponese. Se è vero che è uno dei pilastri del cosiddetto soft power e che effettivamente è uno dei motivi d’attrazione principale del Giappone contemporaneo, è altrettanto vero che le condizioni lavorative di animatori e manga-ka sono ancora tragicamente surreali. Per citare un esempio, recentemente Gosho Aoyama, autore del popolare Detective Conan, ha rivelato che la sua giornata lavorativa nei periodi di picco è composta da 5 giorni alla settimana di 20 ore ciascuno.

 

 

 
Tornando al festival e ad Hara sono stati presentati anche i suoi primi lungometraggi animati – la carriera dell’autore infatti dopo aver lavorato a alcune serie televisive si sposta sul grande schermo dove realizza, all’inizio del millennio, alcuni lungometraggi sul personaggio di Crayon Shin-chan.
Il successo ed il riconoscimento di critica arriva però solo in un secondo momento con Summer Days with Coo nel 2007, in cui il folklore giapponese si mescola con problematiche contemporanee e soprattutto tre anni dopo con Colorful. Il film, che affronta temi impegnativi con uno stile molto peculiare, resta anche oggi un piccolo capolavoro ancora relativamente poco conosciuto al grande pubblico, anche giapponese, benché abbia ricevuto dei riconoscimenti all’Annecy Film Festival.
La maturità come regista arriva per Hara nel 2015 (due anni prima alla regia di un live-action non riuscitissimo ma interessante sulla vita del cineasta Keisuke Kinoshita), quando porta sul grande schermo il manga Miss Hokusai, sulla vita e le opere della figlia del grande pittore giapponese. Atmosfere, tratto del disegno e tematiche affrontate sono messe in equilibrio in una perfetta realizzazione che evidenzia l’importanza della figura e della sensibilità femminile per la società e le arti del paese. Un processo di rivalutazione storica e riscoperta di cui il giappone contemporaneo, al di là dei proclami del governo e dell’establishment, avrebbe sempre più bisogno.

matteo.boscarol@gmail.com