Esiste ormai una tradizione narrativa della letteratura italiana contemporanea sul rapporto madre-figlia: ne è un esempio il romanzo di Giulia Caminito L’acqua del lago non è mai dolce, e un filone critico in cui si situano per esempio i testi di Roberta Mazzanti, autrice della Società Italiana delle Letterate. Un bacio dietro al ginocchio di Carmen Totaro, edito da Einaudi (pp. 176, euro 18), si inserisce in questa tradizione, distinguendosi per la qualità della scrittura e per la potenza di una storia tanto mostruosa quanto sommessa.

ADA È UNA DONNA SOLA che si prepara per cenare con sua figlia che festeggia il suo ventiduesimo compleanno, acquista un abito che probabilmente indosserà solo per quella serata in un ristorante mediocre a Milano, ed Elisa le fa notare, infatti, che non era affatto necessaria quell’eleganza. In questa prima scena, nella scelta della madre di vestirsi bene e andare dal parrucchiere e in quella della figlia di dirle quanto farlo fosse inappropriato sta la distanza incolmabile tra le due. A cena, Elisa le comunica che ha intenzione di lasciare l’università, Ada non è d’accordo, ma non glielo dice apertamente, mantiene un atteggiamento di accondiscendenza, di passività violenta, che ripetuta negli anni ha probabilmente spinto la figlia a odiarla, tanto da cercare di ucciderla.

LA PRIMA PROVA di grandezza di Totaro risiede nel mantenere le lettrici e i lettori solo là dove stanno le sue personagge: l’autrice non permette di prendere distanze e non si permette di prendere il sopravvento sulla storia delle due donne. Così, come Ada non capisce che cosa sia successo perché è stordita, dall’alcol e dagli psicofarmaci di cui fa uso regolarmente, anche chi legge comprende che ha rischiato la vita solo nel momento in cui lo capisce lei.

La fuga di Elisa permette poi ad Ada di scoprire almeno i fatti della vita della figlia, senza mai riuscire a comprendere le origini delle sue scelte, senza mai neanche mostrare di interrogarsi sul perché la ragazza le abbia mentito o sulle ragioni che l’hanno spinta a un gesto tanto mostruoso. Nella ricerca di Elisa scomparsa, che Ada effettua come una madre devota all’amore per la propria figlia, ad aiutarla ci sono suo fratello Antonio e l’amica Assunta. Il primo è un uomo dalla mitezza infinita, che Ada detesta per la sua fragilità, inconsistenza o forse solo perché a differenza sua Antonio ha ancora un rapporto con la loro madre. Assunta era un faro, invece, nella vita di Ada, fino a quando, dopo l’incidente che apre il romanzo, la donna è diventata la voce della durezza, del giudizio, non solo rispetto alla sua presunta incapacità di gestire la propria esistenza, ma soprattutto rispetto a Elisa.

PER UN DESIDERIO eccessivo di ipocrisia, Ada vorrebbe che anche le persone che le stanno attorno credessero alle bugie che lei si racconta su sua figlia o che aderissero a una scala di valori ingiusta e traballante, che per la madre si riduce al successo universitario di Elisa.

Nella seconda parte del romanzo il punto di vista si sposta sulla giovane donna in fuga, che decide di gettare le anfetamine con cui ha cercato invano di studiare per gli esami e di affidarsi all’ansiolitico che ha rubato alla madre. Elisa ha paura, ma solo di avere davvero esagerato. Non ci sono smagliature nella sua scelta di eliminare la madre dalla sua vita, probabilmente non ci sono appigli nella personalità della madre, in quella superficie piana e piatta a cui la associa, la sovrappone.

IL ROMANZO mette in scena la tragedia mitologica di Elettra, ovviamente, ma a differenza di Clitemnestra che trucidò il marito per poter vivere con il proprio amante, non sembra possibile attribuire alcuna colpa ad Ada. Totaro è in grado di mostrare, in una storia mirabilmente scritta, come la rabbia nelle famiglie, movente della maggior parte degli omicidi, si formi insieme agli altri organi, si crei nella gestazione, si trasmetta insieme ai geni, al sangue che scorre nelle vene.